Roberto Ferrucci, Terra rossa. Incontri e amori dritti e rovesci


Terra rossa. Incontri e amori dritti e rovesci
Pagine: 144
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 15 aprile 1998

«Un'attesa che si riempie di partite di tennis, di miti del tennis, ma anche di musiche, di film visti al cinema, di minuziose descrizioni di oggetti, di fenomeni atmosferici e immagini di città (Parigi, soprattutto)»


La terra rossa è quella dei campi da tennis degli anni ’80, epoca in cui è ambientato il romanzo. Antonio, il protagonista, è appassionato di sport, e intreccia le proprie vicende sentimentali con le prestazioni del suo tennista preferito, Björn Borg. Tutta la storia è raccontata in presa diretta da Antonio, con una prospettiva esclusiva che non lascia spazio a ciò che accade intorno a lui, inclusa la relazione con Ilana, con la quale inizia una difficile convivenza. In fondo il libro è la cronaca di una duplice sconfitta, quella di Borg nello sport e quella di Antonio nella vita.
Presentazione di Gianfranco Bettin. Con una nota di Tiziano Scarpa.

Roberto Ferrucci
Roberto Ferrucci è nato a Marghera nel 1960. Il romanzo Terra rossa è stato pubblicato per la prima volta da Transeuropa nel 1993, poi rieditato da Fernandel con l'aggiunta di un nuovo capitolo. Un suo racconto è uscito sull'antologia www.fabula.it (Fernandel). Ha scritto su «il manifesto», «Tuttosport», «Nuovi Argomenti», «Leggere» e «Linea d'ombra», «Il Mattino» di Padova, «La Nuova Venezia» e «La Tribuna di Treviso». Da qualche anno "racconta" anche come autore televisivo e regista di videoclip musicali (Papa nero dei Pitura Freska) e documentari (Cose già/mai viste con Enrico Ghezzi e Sabina... i ’70 con Sabina Ciuffini). Nel 2007 per Marsilio ha pubblicato Cosa cambia.
Ha un suo blog.

Come inizia


Ilana mi stava seduta accanto silenziosa. La sua posizione - mano sinistra sotto il mento, gambe accavallate, corpo inclinato in avanti - faceva mancare solo pochi centimetri a un nostro eventuale e chissà se fortuito contatto.
Per riuscire a occupare casualmente quella poltroncina, sono stato costretto a un percorso complicato da pause e accelerazioni. Ho controllato a lungo i suoi spostamenti da lontano, i suoi scambi di battute con qualche amica. Intanto qualcuno mi superava, altri restavano indietro, tutti comunque diretti verso le sedie sotto il porticato. Finiscono sempre così le domeniche in casa di amici, prima ci si sparpaglia in giro per ore, poi ci si raccoglie intorno come per contarsi, come per dire: "Ecco, siamo stati qui, ma adesso è proprio ora di andare".Appena seduto ho guardato Ilana girando soltanto gli occhi verso di lei, nascosto dietro i miei occhiali scuri. L'ho fatto in seguito un altro paio di volte, mentre lei ascoltava uno di nome Dario raccontare come aveva trascorso l'estate. Era stato lui poco prima a presentarmi Ilana. Lo conoscevo poco e non potevo prevedere che, appena uditi i nostri nomi, avrebbe sottolineato, ridendo, l'originalità del nome Ilana, la banalità di Antonio. Lei è sembrata non dargli retta e ha detto: "Molto lieta", ha allungato la mano e io gliel'ho stretta cercando, nel frattempo, un'inclinazione delle labbra che potesse sembrare almeno un tentativo di sintonia al suo sorri/so, assillato com'ero dal pensiero fisso di quella distinzione sui nostri nomi, dell'influenza che avrebbe potuto avere sull'intero corso di una possibile conoscenza. Soltanto quando le nostre mani si sono staccate quel pensiero fisso si è via via affievolito, anche se, lo sapevo, avrebbe mantenuto intatte le proprie incognite.
Siamo rimasti così ancora qualche secondo, fermi uno di fronte all'altra ed è stato soltanto allora che l'ho guardata con insistenza negli occhi e mi sono accorto di un particolare che ne sottolineava ancor più la lucentezza. A pochi millimetri dall'iride dell'occhio sinistro, sulla sclera perfettamente bianca, Ilana ha una piccola chiazza pigmentata di colore bruno. Così, mentre ancora la guardavo negli occhi, ho pensato che, come il neo sul lato sinistro della bocca di Marilyn Monroe o quello sulla guancia destra di Liz Taylor, questa donna aveva un neo dentro lo sguardo. Una minuscola, innocua macchia scura che si stagliava nitida sul bianco della sclera, che esaltava il chiarore e la lucentezza delle iridi e che avrebbe potuto assorbirmi nella sua traiettoria chissà ancora per quanto se qualcuno, da dentro la villa, non l'avesse chiamata. Dalla posizione dove sono adesso - appoggiato di schiena alla rete di recinzione, le mani in tasca - vedo Ilana seminascosta dalla bianca colonna d'angolo del porticato riflettersi però intera sulla vetrata scura del soggiorno e non so se preferirla così, sfumata di grigio, quasi inconsistente. Gli altri sono semidistesi su poltroncine di tela azzurra, li guardo muovere a turno le labbra, fare gesti d'accompagnamento con le mani, sorseggiare liquidi scuri da bicchieri forse di cristallo. Qualche altro scompare invece del tutto entrando ormai a far parte dell'altro lato della villa, quello che si affaccia sulla collina. Fino a qualche minuto fa stavo anch'io seduto là in fondo, accanto a un'Ilana ancora tutta intera, leggermente girato con la poltroncina verso il lato aperto del porticato. Non erano ancora stati distribuiti i bicchieri e, in silenzio come gli altri, fingevo di ascoltare le voci di chi era di turno a parlare: voci roche e limpide, maschili e femminili, voci di cui mi limitavo a isolare soltanto i diversi timbri, semplici rumori di fondo del mio guardare. Mi sono alzato suito dopo avere sentito Dario esclamare: "Avreste dovuto vedere la faccia della bionda quando vide il mio Range Rover". Era stato lui a suggerire di raccontare ognuno un episodio estivo. "Per dimenticare questo caldo afoso", aveva aggiunto. All'inizio ho cercato qualcosa da dire per farlo desistere e invece non ho aperto bocca. [...]