Enzo Fabbrucci, Le storie di Valbruna. Poema adriatico


Le storie di Valbruna
Pagine: 144
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: 15 aprile 1998


I personaggi, i sogni, le storie di un'antica città «esistente solo come diceria»


Valbruna è una città mitica che sorgeva in un luogo imprecisato, fra Marche e Romagna, forse addirittura sul mare. Su questo mito Enzo Fabbrucci costruisce una metafora onnicomprensiva della sua ricerca artistica, a metà strada fra parola e immagine, fra il racconto e la pittura. Il libro ricostruisce da molteplici punti di vista (la lingua di Valbruna, i ritratti dei personaggi che vivono in questa città, le loro storie, i sogni…) il percorso dell’autore verso una forma di conoscenza lontana dagli schemi logici e più prossima invece a un sapere intuitivo, umano, universale.
Quaranta riproduzioni a colori nel testo. Presentazione di Marco Belpoliti.

Enzo Fabbrucci Enzo Fabbrucci all'epoca di Le storie di Valbruna
Enzo Fabbrucci è nato nel 1959 a Fratte, un piccolo borgo del Montelfeltro, dove vive. Come scrittore ha collaborato alle riviste «Riga» (Marcos y Marcos) e «Il Semplice» (Feltrinelli). Le sue pitture sono state esposte al Museo Revoltella (Trieste), alla Villa Reale (Monza), alla Galleria Continua (Siena). La mitologia di Valbruna è anche diventata un testo teatrale, che l’autore ha portato in scena in Piemonte e nel Lazio.
Il marinaio Ridolfi
«Questo è il marinaio Ridolfi
che dal borgo era stato via vent'anni e più,
adesso era vecchio... se veniva all'osteria si metteva
in disparte e non dava fastidio a nessuno
a punzecchiarlo rispondeva con un sorriso...
perché era furbo tranquillo
come tutti quelli che han viaggiato molto...»

Come inizia


Io abito tra Marche e Romagna, non lontano dal mare, in quella zona che è detta "Il Montefeltro".
E tutto è iniziato diversi anni fa, quando ho visto una vecchissima cartina geografica, una cartina, mi pare, della fine del '300 di queste regioni adriatiche. Sul mare, a una distanza non molto grande dalla costa, in prossimità delle foci di un fiume che conosco bene e che in antico si chiamava Crustumium, equidistante da Pisaurum e Ariminum, trovai un cerchio e sotto "Concha, città profondata".
Il mio stupore fu grande perché avevo sentito parlare di Valbruna, una città che in epoche antiche doveva essere esistita da queste parti e che era poi misteriosamente scomparsa. Chiesi a studiosi che conoscevo e consultai diversi volumi di storia, la maggior parte delle risposte fu che non se ne sapeva niente, qualcuno la citava solo come diceria, come leggenda. Anziani pescatori parlavano di mura intraviste sul fondale nei giorni più limpidi, in corrispondenza del sasso di Gabicce. C'erano poi voci che attestavano Valbruna nell'entroterra, alle sorgenti del Conca (oggi si chiama così l'antico Crustumium), altri ancora dicevano di una città distrutta sotto l'arcana rocca di Montefiore in un luogo detto "il piano di San Pietro", ma anche qui non s'era trovato nulla che ne confermasse l'esistenza.
Un'antica città esistente solo come diceria. Mi parve un buon presagio. Allora iniziai a consultare le storie e le leggende di queste valli tra Romagna e Marche, iniziai a viaggiare il Montefeltro alla ricerca di racconti, volti, paesaggi; ho trovato e raccolto moltissimo materiale ma di questa città la memoria, tramandata solo oralmente, s'era persa. Così ho pensato a Valbruna come a una città non d'importanza storica o strategica, ma una città di matti e d'accattoni e i pochi documenti dicevano che era questa la sua caratteristica e che di questi personaggi minori era popolata. E lì, visto che c'era poco di reale, doveva confluire tutto il mio fantasticare e le idee che avevo ricavato dai miei studi di tipo scientifico e letterario, una città come un teorema, una raggiera di percorsi, di conoscenze, di intuizioni tutte riconducibili al medesimo centro.
La Norma
Certo, la caratteristica di questo libro sarà l'incompletezza. Quando mi è stato chiesto di pubblicarne o di esporne un solo aspetto mi sono sempre trovato in difficoltà, perché mi piacciono i progetti che non terminano: anche da ragazzo, quando leggevo o vedevo qualcosa in cui mi identificavo, avevo sempre il terrore che finisse, così mi mettevo a leggere a balzi, lasciavo da parte qualcosa per i giorni seguenti o mi interrompevo prima di arrivare alla parola fine, perché la caratteristica delle opere finite è la presunzione: è troppo grande la sproporzione tra quello che c'è da vedere e quello che nella vita poi si vede. [...]
«La Norma aveva la bellezza
di quegli uccelli del Paradiso
che coi grandi occhi
si mirano per delle ore il becco;
e ogni tanto muovon la testa
come a dire sì»