Giancarlo Tramutoli, La vasca da bagno


La vasca da bagno
Pagine: 96
Isbn: 9788887433197
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: giugno 2001


«La sega è la libertà. Non ti chiede di pagare il conto. Di entrare dal gioielliere. Di fare l’ipocrita. Di fare l’idiota per un poco di fica»

La vasca da bagno è un romanzo sulla masturbazione, frammentario, suddiviso in un centinaio di capitoli che potrebbero essere letti come brevi, fulminanti racconti, se non fosse per l'omogeneità della voce del narratore. La vicenda è quella di un giovane del Sud che deve fare i conti con la monotonia del lavoro (è un impiegato di banca), con la propria solitudine, con la propria pigrizia. La forma del frammento bene si presta a oscillazioni narrative che dal presente ritornano a episodi del passato, a incontri, a riflessioni.

Giancarlo Tramutoli
Giancarlo Tramutoli è nato a Potenza nel 1956. Ha pubblicato Lapsus (1988), Onde per cui si muove il mare (1995, premio Marcello Marchesi 1996), Lampadine (1998), I canti di Onan (1999, Premio Theidos 2000), Il dizionario dei luoghi ameni (2000), Versi pure, grazie (Manni, 2006). La vasca da bagno è il suo primo romanzo (già finalista al Premio Assisi per l'inedito nel 1996), a cui è seguito Uno che conta (Manni, 2007). Nel 1999-2001 le sue poesie sono state pubblicate sul Corriere della Sera.
Lavora in una banca, sopra la quale campa, sotto la quale crepa.

Come inizia


1. Sono chiuso nel bagno. Mi guardo il cazzo che pare di gomma diventare pian piano teso e duro. Si inarca palpitando proteso verso la pancia. Penso a chi mi pare. Scelgo io con chi. I modi e i tempi. Non esistono imprevisti. Nessuna complicazione. Tutto è sotto il mio controllo. Tutto fila liscio. Nessuna seccatura. Nessun tempo morto. Niente moine. Nessuna pantomima. Eliminati gli sciocchi giri di valzer. La fatica della fica. E dopo posso dormire come un ghiro. Un ghiro poi, in vita mia non l'ho mai visto.

2. Sono seduto sul bordo della vasca da bagno. Lo tiro fuori. Penso a quella stronza del liceo che magari ci stava e neanche c'ho provato. Ma io ero così delicato. Le mie mani mi sembravano gli artigli di un orso. Non sapevo da dove cominciare. Camminammo una sera per ore e parlavamo parlavamo parlavamo. Ci sedemmo ad una panchina. Dopo una buona mezz'ora riuscii a portare la mia mano destra all'altezza della sua spalla destra, senza toccarla. Intanto era già tardi. Ci alzammo. L'accompagnai a casa.

3. Leggevo di nascosto quella rivista che comprava mia sorella. Era una rivista di educazione sessuale. Un articolo diceva che non era vero che la masturbazione portasse alla cecità. Ci rimasi male. Io preferivo che la sega avesse questo alone eroico e autodistruttivo. Un modo piacevole di suicidarsi a tappe. Pippa dopo pippa.

4. Sono sotto la coperta. Fuori piove a dirotto. Mi tiro una sega astratta. Senza pensare a nulla. Con la pioggia fuori. Al buio. È un atto panteistico. Con la coperta a cupola sui ginocchi mentre il pugno ci batte contro, sempre più freneticamente, con colpi sordi.

5. In ufficio. Attorno c'è un delirio persistente e attutito dal quale emerge ogni tanto qualche frammento: "i tassi" - (ed io penso sempre a quei simpatici animali) attivi e passivi - "Vado a prendere un caffè", "Non è in stanza". "Chi ha preso la mia penna?", "Di che umore è il capo?" - Prima di dover lavorare avevo ancora l'energia per tirarmene tre, anche quattro in un giorno. Con felicità. Adesso lo sguardo mi cade sull'orologio ogni tre, quattro minuti.

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