Elena Maffioletti, Il ladro di parole


Il ladro di parole
Pagine: 160
Isbn: 9788895865171
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: novembre 2009
Leggi come inizia


«Lavorare sulle stesse parole è come dormire nello stesso letto»

BBarbara è una famosa scrittrice in lento declino. Lavora a un nuovo romanzo, ma le parole la tradiscono in continuazione. Diventa sempre più faticoso riempire la pagina bianca, così come diventa sempre più difficile accettare i segni dell’età che avanza. Accanto a lei, a condividere un’esistenza scandita dal ticchettio dei tasti sul computer, c’è Betta, la fedelissima redattrice e segretaria tuttofare.
Una sera d’estate però una copia del manoscritto viene perduta. Un incidente che segna una svolta in quel mondo fatto di parole. Si fa vivo un invadente sconosciuto che riscrive l’opera pagina per pagina. Sfronda, modifica e inventa nascosto dietro a un indirizzo e-mail, scardinando il sentimento di complicità che unisce le due donne e modificando profondamente il loro rapporto. Affascinata suo malgrado dalla sfacciataggine e dal talento dell’uomo, Betta si lascia coinvolgere in una corrispondenza nella quale affiora la sostanziale componente erotica della scrittura. Barbara, offesa e violata in ciò che possiede di più intimo, cerca invece improbabili occasioni di rivincita. Alla fine ciascuno dei tre dovrà fare i conti con ciò che ha guadagnato e ciò che ha perduto…
Copertina di Eleonora Bolsi.

 Elena Maffioletti alla libreria D'Ovidio di Lanciano

Elena Maffioletti vive in provincia di Bergamo. Ha pubblicato due romanzi con l’editore Mauro Baroni di Viareggio: Sotto il cielo d’aprile (1993) e Le prigioni del verde (2003). Collabora con articoli e recensioni alle pagine culturali dei quotidiani della sua zona. Insieme a Vittoria Delsere ha pubblicato nel 2010 per l'editore O.G.E. il romanzo storico Bisclavret. Storia luminosa di tempi bui.

Come inizia


Alba incerta. Statale ventisette, margine destro. Tergicristalli avanti e indietro nella nebbia. Sette foglie, una dopo l’altra, scendono a coprire il vetro.
«Leva quella porcheria!»
Apro la portiera, affondo il piede in una pozzanghera. Il freddo mi afferra le caviglie. Davanti a me, due alberi sparuti. Sotto il terrapieno, nella conca grigia del piazzale, riposano su fondamenta di cenere quattro enormi edifici, marroni come uccellacci che la notte insegue e sospinge verso il mattino. Prendo le foglie dalla parte del gambo, le dispongo a ventaglio fra le dita. Ho le orecchie congelate, nullificate dal silenzio.
Io e lei, due sassi lanciati nel vuoto del primo mattino. La sento agitarsi dentro l’auto, immagino la sua mano che spiaccica con furia nascosta il mozzicone nel piccolo portacenere a lato del sedile.
«Hai finito di gingillarti? Fa freddo!»
Ho il piede fradicio. Butto le foglie, chiudo la portiera. Faccio ripartire il tergivetro. Dietro di me, un leggero frusciare di carte. Desidero un caffè con tutta l’anima. Invece le sue dita bussano alla mia spalla.
«Visto qualcosa?»
Non ho visto niente. Non c’è nulla da vedere. Le tapparelle bianche si alzano, bucano il marrone con aloni lattei di luce. Qualche testa spettinata, due pigiami su un terrazzino. Un caffè per favore, un caffè bollente, e alla malora questa pazza. Sento levarsi il fumo d’una nuova sigaretta. La sua pettinatura di capelli gialli compare dietro il sedile di destra. Da tanti anni ci conosciamo e mai una volta mi si è seduta accanto. Osservo le nocche delle sue mani mentre gesticola, parla a scatti come fa sempre quando è nervosa. È dalle mani che capisci quando uno diventa vecchio. La pelle s’assottiglia, le vene schizzano verso l’alto come a voler testimoniare una presenza, una continuità di vita che ci s’illude possa diventar saggezza. Le nocche sono bianche, le mani rigide, contratte. Ha buttato ciò che resta della sigaretta dal finestrino e ora un soffio grigio si scioglie dentro l’erba.
«Quinto piano, lo vedi?»
Finestre chiuse, dormono ancora tutti. Solitaria nell’angolo, incastrata fra la ringhiera bianca di un finto terrazzino e la serranda chiusa, la mountain bike, con i suoi colori di falso arcobaleno. La ruota posteriore appoggiata a terra, l’anteriore in aria, a disegnare un’impennata di confine tra il dentro e il fuori.
Barbara si sporge in avanti, irruenta. Le ciocche color pannocchia platinata sfiorano le mie guance. Alita fumo, e rabbia, e gelosia covata. Mi arriva dritto in bocca il suo Chanel. Muove il braccio davanti ai miei occhi, tintinnano come campanelli i braccialetti.
«Com’è che non si alza?»
Quasi a risponderle, si leva piano, listello dopo listello, l’avvolgibile. La camera da letto per prima, poi la cucina, il bagno, il tinello. Resta a dormire soltanto la mountain bike.
«Prendi il panno, svelta!»
Alzo il riscaldamento, libero il vetro dal vapore. La luce striscia sui tetti, piove dai rami sulle pozze oleose ai lati della piazzola. Lei infila il corpo magro fra i due sedili anteriori, mi schiaccia contro la portiera, strizza gli occhi. Per un attimo, dietro la tenda, s’intravede una macchia di carne e stoffa, quasi s’annusa odor di colazione.
«È lui o lei?»
Difficile indovinarlo. La finestra dà verso la strada, verso il nulla del piazzale, un quadro aperto nel marrone, un affrettarsi di lenzuola, uno sciacquio di tazze, asciugamani che compaiono e scompaiono dai balconi. Lei si protende, il naso carnoso a far da battistrada, le palpebre socchiuse, le labbra di guerlain che tutti i giorni ridipingo togliendo sbavature, disegnando contorni, scivolando con il gloss fino a quell’angolo che non ride più. [...]

Rassegna stampa

Imprevedibile il finale: un'inedita fusione di libertà, che ha sempre un prezzo (Sabrina Penteriani, «L'Eco di Bergamo», 11 novembre 2009)

Barbara è una scrittrice famosa. Ma col tempo la sua vena si è affievolita, e ora trema davanti a una pagina bianca. Il suo editore preme: attende un nuovo bestseller da dare in pasto ai lettori. Chiusa in un mondo ovattato, tutto al femminile, Barbara ha accanto Betta, la segretaria tuttofare, che è diventata col tempo anche l’editor che puntella le frasi stanche, «sartina» che rammenda le trame sfilacciate e sfronda i capitoli dalle incongruenze.
La vicenda letteraria e umana di Barbara, tiranna del suo piccolo impero privato, sembra avviata a un lento, inesorabile declino, finché tra queste due voci in leggero, rispettoso contrappunto non se ne inserisce una terza, inaspettata, misteriosa, dirompente. All’inizio non è niente più che un indirizzo e-mail, poi diventa una presenza sempre più invadente.
C’è tutto il piacere, il tormento, la fatica della scrittura come atto creativo artigianale, come scintilla d’anima e di talento e anche come processo industriale nell’ultimo romanzo dell’autrice bergamasca Elena Maffioletti Il ladro di parole (Fernandel, pp. 157, euro 12). Dopo le storie familiari di Sotto il cielo d’aprile (Baroni, 1993) che ne aveva segnato l’esordio, dopo l’appassionante Le prigioni del verde, con atmosfere che evocano Garcia Lorca (Baroni, 2003), la scrittrice con questo libro cambia registro per raccontare una storia di oggi. Una vicenda appassionante, un giallo interiore che tiene incollati alle pagine e si fa apprezzare per il ritmo incalzante, per il tratteggio sofisticato, per l’irresistibile galleria di personaggi, per lo sguardo sensibile sulla realtà quotidiana. La presentazione del volume, organizzata da Buona Stampa, è in programma per domani alle 18 al Centro Congressi in viale Papa Giovanni XXIII. Intervengono, con l’autrice, Marco Beck, poeta e consulente editoriale, e Claudio Calzana, scrittore.
Il ladro di parole più di tutto mette l’accento sul potere della parola scritta, sulla sua capacità di entrare nel cuore di ogni persona e di uscirne rinnovate, raddrizzate, rimescolate, aprendosi a una vita nuova e indipendente perfino dall’autore, dalle intenzioni insomma di chi per primo le ha concepite.
Nel romanzo di Elena Maffioletti la scrittura è davvero viva, la letteratura entra nella realtà, la pervade, la scuote. Si insinua nell’intimità, nella sfera dei sentimenti. «L’importante – dice a un certo punto Barbara – è non ripetersi. Afferrare un’idea per i capelli, sciacquarla e risciacquarla finché le parole non acquistano consistenze nuove. La letteratura, mia cara, non è altro che un grande stenditoio».
L’autrice, senza rinunciare alla sua consueta eleganza stilistica, trova attraverso ordinari vizi e virtù dei suoi personaggi la strada maestra per raggiungere il lettore, coinvolgendolo in un gioco intrigante, a tratti sensuale.
Barbara, ridotta a partecipare a un grappolo di presentazioni mondane per tenere viva la sua memoria, a comparire in insulsi talk show televisivi, a dare risposte di circostanza alle lettrici in una rubrica della posta del cuore su un giornale femminile è in cerca di riscatto: «Glielo vorresti gridare, a tutti quanti, che tu sei diversa da loro, perché le parole non fermano gli anni, ma gli anni fermano le parole, le cementano consegnandole alla memoria, e quel mucchio di fogli ancora da scrivere contiene il tuo passaporto per l’eternità». Alla fine trova qualcosa di inaspettato, trova qualcuno che raccoglie le macerie della sua opera individuale e le trasforma in una sinfonia a tre mani, con un atto così intimo da assumere il sapore acre di una violenza. Imprevedibile il finale, così come l’esito di qualunque relazione (non solo) letteraria: un’inedita fusione di libertà, che ha sempre un prezzo.

Un buon libro sul mondo della scrittura (Stefania Nardini, Scritture e pensieri. Supplemento letterario al «Corriere nazionale», 13 dicembre 2009)

Barbara è una scrittrice famosa. Ma col tempo la sua vena si è affievolita. Nel suo mondo ovattato, tutto al femminile si inserisce una terza, inaspettata, misteriosa persona. All'inizio non è niente più che un indirizzo e-mail, poi diventa pagina dopo pagina personaggio. Un buon libro sul mondo della scrittura.

Un viaggio all'interno della scrittura (Mina Patrizia Paciello, mangialibri.com, gennaio 2010)

Barbara, famosa scrittrice ormai in parabola discendente, è alle prese con il suo nuovo romanzo senza riuscire a farlo decollare. Le pagine vuote hanno il potere di farla precipitare in uno stato d'angoscia. Betta - sua editor fidata, da sempre al suo fianco - condivide con lei un mondo fatto di tempi da rispettare, riti, abitudini ma anche di parole che, si accorge, comincia a tradirle. Barbara infatti non riesce più a trovare l'entusiasmo di uno sguardo attento a cercare storie per i suoi libri, storie che non risvegliano in lei più alcuna curiosità. Il mondo ha smesso di sorprenderla e, oltretutto, registra una perdita di entusiasmo che si intreccia con la consapevolezza di qualcosa di implacabile, perchè "le parole non fermano gli anni ma gli anni fermano le parole". La sua fantasia non corre più lungo i sentieri possibili del foglio, il nulla si è sostituito a quei conosciuti segni portatori di potenziali racconti. Segni non più tracciati sulla pagina ma sul suo viso, rughe disegnate agli angoli degli occhi, macchie della pelle, labbra tirate che ogni mattina cerca di correggere. Sta invecchiando, la vita è diventata vuota e così anche la pagina.
Tutto cambia quando una sera una copia del manoscritto viene perduta. A ritrovarla sarà un giovane che deciderà di riscrivere quella storia a modo suo, entrando senza essere invitato in un rapporto a due, violando quell'intimità e conferendogli quasi un valore erotico. Betta si lascia affascinare dal gioco dell'uomo mentre Barbara rimane profondamente offesa nel suo orgoglio, sentendosi derubata e violata...
Romanzo tattile e odoroso, perché ogni cosa descritta può essere toccata (le rughe, i tasti del computer, i fogli) e annusata (il profumo di Barbara, gli ingredienti della cucina di Elvira, la cuoca), ma anche romanzo impregnato di dolore, il dolore che accompagna tutti, quello della perdita. E allora sono le lacrime di Nina, raccolta per strada e salvata dall'inferno, a descrivercelo con il suo vissuto di tradimenti e di futuro negato, o il rancore di Elvira la cui memoria di tanto in tanto la spinge nei tentacoli del passato. La trama cattura sin dal principio accompagnandoci in un universo tessuto al femminile lì dove le storie private si intrecciano fra di loro regalando senso ad ognuna. Gli unici due uomini di questa storia, il bibliotecario e l'ex direttore editoriale, sono nella storia quasi a dover tracciare un confine tra i due mondi. Tutti i personaggi sono ben delineati, mai banali, gli intrecci sono ben spiegati e si apprezza l'attenzione posta alla descrizione delle personalità di ognuno di loro. E' un viaggio all'interno della scrittura, lì dove l'autrice ha voluto mettere l'accento in modo semplice ma coinvolgente, mai distaccato. E' un libro sul potere delle parole, quelle dense di significato che possono cambiare il corso degli eventi. La parola come traccia, traccia per non perdersi e per ritrovarsi, traccia per farsi riconoscere. Lo scrivere è un modo privilegiato di lasciare la scia del nostro passaggio, ma quando il rapporto tra realtà e linguaggio, tra mondo reale e mondo immaginario diventa difficile, allora bisogna anche fare i conti con la mancanza e con la necessità di rinnovarsi.

Intervista a Elena Maffioletti prima dell'incontro a Giulianova (Simone Gambacorta, 18 aprile 2010)

Venerdì 23, alle 21:30, Elena Maffioletti sarà al Circolo per presentare “Il ladro di parole”, il suo nuovo romanzo edito da Fernandel. La storia è quella di Barbara, scrittrice in crisi creativa, e della sua assistente Betta. Le due si troveranno a fare i conti con un intruso, un uomo misterioso che, schermato dietro le maschere della tecnologia, s’insinuerà nel loro rapporto e darà avvio a una pericolosa partita a tre. In questa intervista, Elena Maffioletti dà alcune anticipazioni sul libro.

I primi personaggi che incontriamo nel romanzo sono due donne, Barbara e Betta…
«Barbara è una scrittrice di successo e Betta la sua collaboratrice più stretta. Il romanzo, almeno nella fase iniziale, è tutto al femminile».

Quale delle due è stata più difficile da “raccontare”?
«Quando ho iniziato a scrivere “Il ladro di parole”, il personaggio di Betta era solo un’ombra, un’idea appena accennata. Ha cominciato a delinearsi man mano che prendeva corpo la figura di Barbara, e non a caso, perché di Barbara, in fondo, rappresenta il controcanto. Quindi raccontare l’una era funzionale a narrare l’altra».

Le due amiche condividono una difficoltà legata alla scrittura…
«Barbara attraversa un periodo di forte crisi creativa. E’ una donna di grande personalità, disincantata quanto basta, abituata alla notorietà. L’ansia davanti alla pagina bianca è un sentimento sconosciuto e terrificante che le cambia la vita. Betta, che è la sua editor-segretaria, non può che condividerlo, anche se in modo meno emotivo. Magari con una punta di soddisfazione, perché il sentimento di rivalsa fra le due è sempre latente».

Poi arriva un uomo...
«E’ l’uomo misterioso, il “giocatore invisibile” che ogni volta spiazza e rilancia le sue carte. Lo aiuta il mezzo telematico, la posta elettronica gli consente di infilarsi nell’esistenza di Barbara e Betta in tempo reale. Per chi vive di parole, un’interferenza fatta di parole è reale come la vita stessa».

A questo punto scatta un gioco che tanto gioco non è.
«E’ un gioco molto serio. Gli equilibri si modificano, soprattutto tenuto conto che il romanzo è incentrato sul senso del possesso: il manoscritto, sotto questo aspetto, è un “corpo” tale e quale a quello di Betta lusingata dall’attenzione dello sconosciuto. E Barbara è colei che viene “derubata” e “violata”».

Cosa ha significato raccontare i rapporti tra questi personaggi?
«Ha significato giocare su tre tavoli diversi contemporaneamente, perché sono personaggi alla pari, di forte personalità dal punto di vista narrativo. Una bella prova».

Quanto tempo ha lavorato al romanzo?
«Per motivi logistici non scrivo sistematicamente e comunque non più di due-tre ore al giorno. Diciamo che ho lavorato per circa un anno. Poi è arrivato il tempo delle revisioni, che sono state parecchie».

Mentre scriveva, è accaduto che la trama, o addirittura gli stessi personaggi, la sorprendessero “pretendendo” di imboccare direzioni che non s’aspettava?
«Sì, questo mi succede spesso. Lascio sempre una grande libertà ai miei personaggi. Sono loro che conducono me e non viceversa. Ma ovviamente sono io che creo le premesse, quindi escono tutti dalla stessa stazione, anche se i binari poi divergono».

James Wood, un critico americano, in un suo recente libro ha scritto che la letteratura insegna soprattutto a «notare» le cose. È d’accordo?
«Sì. Ed è solo dopo averle notate che si possono osservare. L’osservazione, in letteratura come nella vita, non è mai neutrale, neppure quando lo si vorrebbe. Il taglio visivo, la prospettiva attraverso la quale vediamo il dettaglio, già racconta una storia».

Che cos’è secondo lei un romanzo? Glielo chiedo perché ne ha scritti tre.
«E’ un’avventura. Un salto nell’ignoto. Un luogo “altro” dove vivere altre vite, divertirsi, appassionarsi, soffrire, riflettere. Credo che l’identificazione sia un passaggio fondamentale per il buon esito di un romanzo, sia esso di puro intrattenimento o di alta letteratura. L’animo del lettore deve vibrare».

Mi dà una brevissima definizione per ciascuno dei suoi libri?
«“Sotto il cielo d’aprile”: un libro di Storia e di memoria; “Le prigioni del verde”: elogio di svariate passioni, fra cui la poesia;“Il ladro di parole”: ovvero la fatica di scrivere».

Si dice che la scrittura cambi chi la vive, chi la fa. Che cosa le hanno insegnato, su di sé e sulla vita, i tre romanzi che ha scritti?
«Con la scrittura ho un rapporto di immediatezza. Per me è un modo di essere, quindi mi è difficile rispondere a questa domanda. Forse quello che rimane è un approfondimento della prospettiva, la consapevolezza che nella vita esistono tante dimensioni nascoste, tutte da scoprire e dalle quali imparare sempre qualcosa di nuovo. In automatico si impara ad interrogarsi, ad andare oltre l’apparenza. E non è poco».

Se non è abilità questa… (Elda Cannarsa, librisulibri.it, 28 maggio 2010)

Barbara, ruvida e antipatica, è una scrittrice famosa, sul viale del tramonto e a corto di…parole. Betta, senza infamia nè lode, lavora con lei, ufficialmente come dattilografa, ufficiosamente come editor.
Nico è il maschietto della situazione, grezzo nei pensieri e nelle parole ma dotato di notevole abilità letteraria. Questi i personaggi principali che si muovono all’interno di una storia complessa e un po’spinosa: Il ladro di parole, di Elena Maffioletti, edito da Fernandel. Ve lo racconto in breve: Barbara ha perso il manoscritto del suo romanzo. Un manoscritto messo insieme a fatica, per mancanza di ispirazione e di parole e quindi un romanzo che, molto probabilmente, non sarà all’altezza dei suoi precedenti successi.
Quasi per miracolo, il manoscritto viene ritrovato nonché riscritto. Capitolo per capitolo, Nico, giovane e sfrontato bibliotecario, rivede, riscrive, cesella e spedisce il lavoro per email, accompagnandolo con messaggi irrispettosi e provocatori.
Dall’altro lato dello schermo c’è Betta che raccoglie entrambi: i capitoli da rifinire e i messaggi da…dimenticare… Perché penso che sia una storia spinosetta? Forse perché tutto ruota intorno alla frustrazione: quella di Barbara che deve far fronte al suo inarrestabile declino, quella di Betta, pura e semplice “sartina” delle parole con zero certezze di un futuro diverso e quella di Nico, autore nell’anima e sulla carta, ma privo degli attributi sociali per uscire allo scoperto. Sì, forse per questo Il ladro di parole è un libro che non ho amato molto: non ho né riso né pianto.
Non mi ha lasciato nessuna sensazione bella, semmai un po’di fastidio. Ci ho messo un po’ a capire il perché anche se la spiegazione ce l’avevo sotto il naso.
La verità è che i personaggi principali de Il ladro di parole non fanno assolutamente nulla per piacere al lettore. Ce ne sono altri – peraltro tutti femminili- che si prendono cura del “pubblico” ma Barbara, Nico e Betta hanno altro da fare e del lettore se ne fregano ampiamente.
In questo credo che Elena Maffioletti sia stata molto brava, che sia riuscita cioè nel difficilissimo compito di lasciar vivere i personaggi di vita propria, per quanto ruvida, mediocre o frustrata questa sia.
Se avessi una scuola di scrittura creativa, consiglierei la lettura de Il ladro di parole agli studenti perché nonostante sia un libro in cui:
1 non avviene catarsi
2 l’identificazione con qualcuno dei personaggi, se c’è, è faticosissima
3 la storia – dal soggetto originale- predilige il pensiero all’azione
Il ladro di parole non e’ un romanzo che si abbandona a metà strada, anzi.
Se non è abilità questa…