Daniele Borghi, L'altra vita di Emma


L'altra vita di Emma
Pagine: 124
Isbn: 9788895865218
Collana: Fernandel
Data di pubblicazione: gennaio 2010
Leggi come inizia


«L’odio ha una sola manifestazione che non sia ipocrita: uccidere»


Emma è una donna di cinquant’anni che vive una vita insoddisfacente. Nella quotidiana monotonia che le impone il matrimonio, si abbandona in continuazione a flashback e fantasie che la scollano dalla realtà, dandole un’aria lontana e assente.
Un invito improvviso e la presenza della sorella che non vedeva da tempo spezzano quest’apparente tranquillità: Emma comprende che il marito e la sorella hanno una relazione, e a partire da questa consapevolezza elabora un piano di vendetta: ucciderli simulando un incidente d’auto, lasciando che la loro macchina precipiti nel vuoto per poi incendiarsi. Dopo l’incidente Emma tenterà di sostituirsi alla sorella sfruttando la loro somiglianza. A mettere in pericolo questa nuova vita sarà però la paura di essere riconosciuta. Cercare di sottrarsi agli sguardi di parenti e conoscenti potrebbe non bastare. Il piano di Emma, per essere veramente perfetto, necessita di un ultimo accorgimento, un piccolo dettaglio tutt’altro che insignificante.
Progetto di copertina di Francesca Fiorentini.

 Daniele Borghi in una foto di Ilaria Borghi

«Una stella solitaria è perfettamente al centro del vetro. La sua luce fioca e tremula ti ricorda l’essenza della tua anima stanca. Ti identifichi con quel corpo celeste con la stessa facilità con cui un’adolescente si innamorerebbe di una rockstar pompata dalla pubblicità».

Daniele Borghi è nato a Roma, dove vive. Ha esordito con la raccolta di racconti Day &Night (Fazi-Libuk, 2001), a cui sono seguiti i romanzi Il nome di una privazione (Fara Editore, 2003), che ha ricevuto riconoscimenti in premi letterari, Pinocchio non abita più qui (Fara Editore, 2005) e Fuori è un brutto mondo (Il Molo, 2007). Nel 2014 ha pubblicato Casa di riposo Michail Bakunin (Perrone).

Come inizia


Le fiamme si riverberano sulle chiome degli alberi illuminando la radura sino all’inizio del sentiero. Fin lì non hai problemi ad arrivare. Inizi a correre e continui a farlo anche quando, tra gli alberi, il riflesso delle fiamme ha smesso di aiutarti. La caduta è inevitabile e rovinosa. Non sai se a farti perdere l’equilibrio sia stata una irregolarità del terreno, il tacco della scarpa destra che si è spezzato con uno schiocco, la stanchezza o il rifiuto inconscio di continuare a correre nel buio.
Ruzzoli scomposta sulla terra dura e secca come una bambola lanciata con violenza da una bambina capricciosa. Senti porzioni di pelle staccarsi da gomiti e ginocchia senza provare nulla. Dopo un tempo che ti sembra infinito il tuo corpo si ferma e rimani immobile.
Immagini che dopo pochi secondi tutti i traumi, i graffi e le ferite ti faranno urlare di dolore ma ti sorprendi di non avvertire nulla, assolutamente nulla.
Ti accorgi che la tracolla della borsa di Veronica è ancora saldamente chiusa nel tuo pugno.
La mente cerca di inviare i giusti impulsi a braccia e gambe ma gli arti non rispondono.
Con il viso ancora a pochi centimetri da terra respiri la polvere che tu stessa hai sollevato.
La gola e i polmoni bruciano come fossi a pochi metri dall’incendio.
Rimani immobile, anche se non ne hai sei costretta a concederti del tempo. [...]

Rassegna stampa

Emma contro Emma (Giuseppe Panella, retroguardia 2.0, 15 febbraio 2010)

È ben nota l’espressione di orgoglio (che però gli costò un notevole pregiudizio da parte dei suoi contemporanei) e di fiducia nella propria potenza stilistica che spinse Gustave Flaubert a dichiarare che Emma c’est moi! (a proposito dell’eroina del suo grande romanzo Madame Bovary). Come è noto, Emma si uccide alla fine di un’infelice percorso esistenziale che la porta a tradire il marito Charles e a invaghirsi di un uomo, Rodolphe, che poi l’abbandonerà quando si sarà stancata di lei. Emma Farina, protagonista di questo romanzo noir di Daniele Borghi, non ci pensa neppure a uccidersi ma preferisce costruirsi una seconda esistenza che sarà il risultato felice della propria vendetta. Il romanzo, scritto in seconda persona singolare come se fosse un discorso indirizzato a un Tu dialogante (immaginario o reale non importa affatto definirlo), è la storia di una vendetta maturata nel tempo lungo della giovinezza e della maturità.
Emma, sposata ad un uomo, Mario, che non ama più e che la considera soltanto una persona ormai squilibrata e priva di razionalità, si accorge della sua relazione adulterina con la propria sorella Veronica per aver notato di riflesso in uno specchio della cucina un suo gesto troppo intimo (l’uomo ha posato la propria mano all’interno della coscia destra della donna con gesto un po’ troppo familiare). Decide per questo motivo di vendicarsi e di ricominciare daccapo la vita che ancora le resta. Già altre volte la sorella si era preso e portato a letto senza problemi uomini con cui ella avrebbe voluto avere relazioni più lunghe (e una volta, facendole prendere deliberatamente lo scolo, si era anche ferocemente vendicata). Ora, però, la vendetta dovrà essere più radicale. [...]
Il romanzo di Borghi è breve ma non per questo meno preciso e accurato nelle descrizioni. Il ritmo è sostenuto e soprattutto la vicenda interiore di Emma è scavata con cura e con coraggio (non è certo banale per un uomo provarsi a descrivere e, direi, ad assumere la personalità di una donna, per di più matura e appartenente ad un’altra generazione).
Nonostante la stringatezza del testo, l’autore non rinuncia neppure a una non distratta dichiarazione di poetica, a una riflessione sulla natura della narrativa di finzione. Nel momento in cui la donna sta per vendicarsi e vibrare i colpi mortali e finali al marito Mario:
«Questa volta sei più attenta, non vuoi correre il rischio di fallire di nuovo. Con la mano sinistra abbassi il braccio di Mario. Lo trovi inaspettatamente cedevole, debole, forse rassegnato. Con la destra cali di nuovo l’antifurto. Questa volta l’osso cede e il suo corpo crolla su quello di Veronica. Il bloccapedali è penetrato a tal punto nel suo cranio che, per estrarlo, sei costretta a tirare con entrambe le mani. Lo riponi sul tappetino accanto ai tuoi pedi e fai un profondo sospiro. Non tremi, non hai l’affanno, non senti nell’aria il dignitoso odore dolciastro del sangue di cui tante volte hai letto, non hai nessun desiderio di vomitare o uscire precipitosamente dall’auto per allontanarti dai corpi. Gli scrittori mentono, ormai non hai nessun dubbio» (p. 73).
Anche precedentemente, a p. 70, Emma aveva notato di non provare particolari sensazioni negative (ma neppure piacevoli) preparandosi a togliere la vita a marito e sorella e questo a differenza di quanto gli scrittori (non solo quelli di romanzi d’azione – si badi bene) dicono dei momenti che precedono omicidi ed episodi di morte.
Ed è per questo motivo che allora mi sorge un dubbio: se gli scrittori sono mentitori o finitori, non lo potrebbe forse essere anche l’autore di questo libro? E se tutto fosse un sogno di desiderio, una rêverie di risarcimento della donna, frustrata e respinta dalla vita, tradita da marito e sorella, incapace di trovare uno sbocco plausibile al proprio odio per essi? Potrebbe essere una soluzione questa che avrebbe accontentato anche il miglior Simenon…
E se fosse tutto immaginario e visto, pertanto, attraverso lo sguardo assorto di una volontà che non sa tramutarsi in azione vera e si limita a pensare, a vivere fantasticamente e aspirare a un delitto perfetto – come nel migliore dei film di Hitchcock o nei romanzi di James M. Cain?
Non lo sapremo mai. L’autore vuole convincere il suo lettore che è tutto vero e, per farlo, accumula i particolari realistici l’uno sull’altro (interessante la ricostruzione dell’ambiente familiare della donna, importante la vicenda dei rapporti che essa ha con gli pseudo-amici del marito). Splendido è il racconto dell’episodio di un furto di un libro (non certo a caso il Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Cèline, il cui vuoto si avverte “tra Celati e Chandler”- come si legge a p. 50). La donna se ne accorta avendolo visto mediante il solito specchio di cucina e mette in difficoltà il ladro sbugiardandolo e ritrovando il romanzo rubato nella sua valigetta ventiquattrore. Ma la vicenda non è solo il racconto della follia quotidiana in cui Emma si trova a vivere. E’ un atto d’amore stilistico nei confronti dello scrittore francese come pure in quelli di Gianni Celati (di cui mima talvolta la scrittura delle ultime narrazioni – penso a Quattro novelle sulle apparenze del 1987) e di Raymond Chandler, padre spesso non solo putativo della narrativa nera e d’azione.
Sotto l’apparenza di una cupa vicenda nera di vendette familiari e di sangue, dunque, il romanzo di Borghi nasconde un possibile segreto. Questo lo rende assai più interessante per il lettore che se si trattasse della narrazione di un qualunque fait divers (come usa ormai sempre più spesso anche nella narrativa italiana, soprattutto di genere).
Il merito dello scrittore, allora, risiede particolarmente in questo – rendere originale e assolutamente non banalizzato un evento di cui le cronache dei giornali sono sempre, purtroppo!, pieni e trasformarlo in una metafora dei rapporti tra i sessi e all’interno della famiglia borghese come si tentava spesso di fare un tempo, soprattutto negli anni della contestazione e delle lotte per i diritti civili, e come ormai non si fa più. Sono cambiati i tempi o sono diversi gli scrittori oggi?
Domanda cui è difficile dare risposta, almeno nel periodo attuale.
Per fortuna, Borghi non demorde e mantiene intatta la rabbia e l’odio della propria protagonista per scagliarla impavidamente contro le barriere del perbenismo e dell’ipocrisia individuale e sociale.

La ribellione di una persona qualunque alla propria vita qualunque (Luca Rota, Cronache da Thule, 2 marzo 2010)

Ricordate Un giorno di ordinaria follia? In quel celebre e bel film del 1993 diretto da Joel Schumacher, Michael Douglas interpretava William Foster, un perfetto uomo medio che, assillato e depresso da piccoli/grandi problemi quotidiani, familiari in principio e poi “sociali”, perdeva la testa trasformandosi in uno spietato assassino… Con tutti i distinguo del caso, la protagonista del nuovo romanzo di Daniele Borghi, L’altra vita di Emma (Fernandel) è una sorta di William Foster in gonnella: donna di mezz’età, si muove ormai come un’estranea in un mondo quotidiano che le soffoca la vitalità tra un matrimonio ormai esaurito nel suo senso classico e una monotonia giornaliera popolata da persone false e ostili…
Daniele Borghi sceglie di raccontare una storia assolutamente ordinaria di un individuo perfettamente comune: Emma è una donna che potrebbe essere tante donne e ugualmente tanti uomini, ovvero molti soggetti facilmente ritrovabili nella nostra società contemporanea, nella quale pare veramente ormai realizzato quel motteggio che titola una delle opere più famose di Popper, “Tutta la vita è un risolvere problemi”, ed è di assoluta evidenza come tanti abbiano scelto di non risolverli, i propri problemi pur minimi che possano essere, e di farsi trascinare dalla corrente della vita e del tempo come barche alla deriva… Emma invece già reagisce con la mente alla sua situazione – Borghi ne tratteggia l’elucubrare mentale nella prima parte del libro in maniera fin troppo particolareggiata ai fini del brio della narrazione, ma utile a generare una specie di sensazione di disagio simile a quella vissuta dalla protagonista; quindi decide di agire anche concretamente, quando l’ennesimo insopportabile evento le libera definitivamente l’istinto, e insieme squarcia il grigiore opprimente della sua vita lasciando intravedere una via di fuga… In realtà le note in quarta di copertina non mi trovano d’accordo: lì si dice che Emma è molto stanca, ma in realtà, a mio parere, Emma è in uno stato di stand-by, con il quale riesce a conservare un’energia vitale pronta all’uso appena una possibilità di farlo possa palesarsi. La stanchezza sarebbe il primo stato della noia e della conseguente apatia – ciò di cui io credo soffrano, vedi sopra, molti nella nostra quotidianità; Emma invece è pronta a scattare, a schizzare via, e se è ferma è solo perché sta cercando il momento migliore per farlo…
Borghi, peraltro, sembra basarsi anche su questa impulsività latente della sua protagonista per puntare lo sguardo letterario verso il lettore, ciò anche grazie ad un espediente di notevole effetto: la scrittura in seconda persona, che genera un intrigante cortocircuito tra soggetto narrante, personaggio narrato e lettore che si ritrova trascinato nella narrazione e nella personificazione del personaggio stesso. Per questo l’apparente banalità della storia che il libro racconta riesce a resistere a eventuali cadute d’interesse, diventando un potenziale specchio nel quale, come si diceva anche prima, molti si potrebbero ritrovare; di contro, è opportuno augurarsi che quei tanti che vedranno in Emma un probabile alter ego alle proprie quotidiane frustrazioni non finiscano per agire concretamente come lei… Perché nella seconda parte del libro prende forma e sostanza l’altra vita di Emma, la serie di eventi (molto “forti” appunto, ma naturalmente non si anticipa nulla, qui) attraverso cui la protagonista cercherà l’indispensabile rivalsa, non solo dalle persone vicine di presenza però non più di spirito ma in generale dall’intera propria precedente esistenza. Questa seconda parte, e il finale piuttosto inverosimile, è a ben vedere la parte più “romanzesca” del libro: per certi versi Emma cerca e trova una “redenzione” quasi comminando a sé stessa l’identica rivalsa che ha destinato ai suoi “nemici” – in un modo che probabilmente assai pochi avrebbero il coraggio di fare nella realtà (ma, appunto, qui Borghi separa la storia dalla più ordinaria verosimiglianza per conferirle maggiore fantasia letteraria, e conseguente maggiore brio narrativo) e che, in parte, giustifica gli atti dei quali Emma si è resa protagonista… Resta una domanda, in verità: e se dei fatti che frustrano Emma e “oscurano” la sua quotidianità fosse lei stessa, anche solo in parte, la causa? A volte, la ribellione alla conformità del presente è in realtà una rivolta contro sé stessi, contro la propria incapacità a vedere le giuste direzioni vitali e/o l’inettitudine dell’imboccare troppo spesso quelle sbagliate… Borghi, raccontandoci L’altra vita di Emma, forse finisce non soltanto per narrare la ribellione di una persona qualunque alla propria vita qualunque (e a qualunque problema la deprima) ma anche (indirettamente?) per mettere in guardia il lettore sul non raggiungere quel punto, sul dover reagire prima – prima che l’individuo superi quella linea oltre la quale, all’urbanità che dovrebbe contraddistinguere la specie umana, si sostituisca la regressione a istinti ben più primitivi e selvatici…

Un’umanità e una sensibilità che ricorda certa letteratura francese (Monica Mazzitelli, slowcult.com, 9 marzo 2010)

Il romanzo di Daniele Borghi è decisamente cupo: una donna che ha appena passato i cinquanta si trova di fronte a una vita che ha cercato di ignorare: la propria. E non solo nei suoi contenuti pratici ma soprattutto in quelli emotivi. Emma è arrivata alla fine di un binario su cui si sente di rotolare per caso, per conseguenze di vita di cui fa fatica a rintracciare una convinta scintilla iniziale, se non quella di un amore nato in gioventù che ha finito per essere una carcassa insostenibile. Una carcassa tutt’altro che vuota però: ricolma di odio, tutto quell’odio che nasce dalla fine delle illusioni, dall’amarezza di un senso di spreco del proprio tempo a favore di un progetto/qualcuno che appare ormai solo la caricatura volgare dell’uomo che aveva sposato. Ma è proprio dall’odio che la protagonista trae la spinta per vedere se il treno può rimettersi in moto, se il binario non è alla fine davvero morto, ma solo stanco. E fa una scelta assurda e rischiosa, in uno stato quasi delirante. Ce la farà?
Credo che quello che più conta non sia l’intreccio o il finale di questo romanzo, ma il ritratto sensibile e da una prospettiva così “al femminile” di questa donna, che conosciamo intimamente in tutta la sua debolezza ma anche nella sua forza, nel non volersi arrendere a costo di sbagliare, il rifiuto a rinunciare alla sua ultima occasione di vita. È davvero abile Borghi nel descrivere questo personaggio, lo fa con un’umanità e una sensibilità che ricorda certa letteratura francese. Forse si sarebbe potuto asciugare qualche metafora di troppo in questa elegante prosa, ma si tratta di piccoli dettagli che non tolgono nulla a un romanzo molto interessante. È il quarto della sua carriera: lo terremo d’occhio.

Avvincente e ricco di colpi di sce­na (Francesca Zampiga, «Ravenna In Magazine», febbraio-marzo 2010)

Avvincente e ricco di colpi di sce­na è il romanzo Fernandel L'altra vita di Emma firmato dal romano Daniele Borghi. La protagonista racconta in seconda persona la monotonia di una vita qualunque, del suo essere una cinquantenne imprigionata in vuoti e obbligati ruoli. Rumina pensieri che la scol­lano dalla realtà, fino a quando la porta di una nuova vita le si spalan­ca all'improvviso, e lei vi si butta a capofitto contro ogni morale o etica. Consapevole della relazione tra il marito e la sorella pianifica un piano diabolico: la sua appa­rente e iniziale inettitudine pare trasfigurata. L'incalzare narrativo imboccherà quindi una direzione ben precisa: "l'odio ha una sola manifestazione che non sia ipocri­ta: uccidere".

Un romanzo breve che però non tralascia la precisione nelle descrizioni e l’accuratezza nell’introspezione (Silvia Coppola, mangialibri.com, marzo 2010)

Emma è sposata da più di vent’anni con Mario. Hanno avuto due figli che per fare l’università si sono trasferiti in una grande città del nord. Ora che ha superato i cinquant’anni, Emma si trova ad affrontare un rapporto matrimoniale logoro: è arrivata a detestare Mario a tal punto da pensare a volte che, nel baratro in cui è caduta la sua vita, sia proprio questo sentimento di rancore a farla sentire viva. Dopo essersi svegliata accanto al marito, come sempre, Emma aspetta che Mario esca per farsi una doccia e prepararsi all’ennesima giornata uguale alle altre, con le stesse commissioni da compiere, l’inevitabile spesa, la televisione a tenerle compagnia, incapace di trovare un modo utile per impiegare il tempo. Questa sera, però, Mario ha invitato a cena sua sorella Veronica, di appena due anni più piccola. Emma e Veronica si assomigliano in modo impressionante, ma hanno caratteri diametralmente opposti. Sono sei mesi che non si vedono ed Emma si ritrova con vergogna a ricordare il piano messo in atto sui vent'anni per vendicare il fatto che Veronica cercasse di portare a letto tutti i suoi ragazzi. Ma si ricorda anche dell’intesa profonda provata con sua sorella subito dopo la morte della madre. Ancora non sa, Emma, che questa sera le si presenterà l’occasione per una nuova vendetta che, lungi dal farla semplicemente arrossire, le darà l’opportunità di cominciare una nuova vita…
Scrittore eclettico Daniele Borghi, forse perché scrive da quando aveva quattordici anni ma ha iniziato a pubblicare solo di recente: nel frattempo si dedica ad altre attività professionali. Ha scritto canzoni, pubblicato una raccolta di racconti e partecipato all’uscita di un'antologia poetica. L’altra vita di Emma è il quarto dei suoi romanzi, tutti carichi, in un modo o nell’altro, di un’atmosfera noir. A farcelo pensare nel suo primo romanzo Il nome di una privazione è il protagonista, un detective sui generis, come nella migliore tradizione; in Pinocchio non abita più qui invece è l’ambientazione, una sgangherata periferia romana tipica del noir urbano, mentre inFuori è un brutto mondo sono il cinismo diffuso e la corruzione imperante. La storia di Emma, invece, è quella di una anti-eroina, di cui arriviamo a comprendere il punto di vista criminale forse grazie all’espediente del “tu narrativo”, ma anche per la sua critica spietata del perbenismo: ci immedesimiamo nel suo sentirsi “una radio fuori sintonia, un apparecchio che non riesce a captare le lunghezze d’onda del mondo. Rotta, guasta, fuori servizio, fuori tempo, fuori luogo”. Lo stile asciutto e diretto, rafforzato dall’uso della seconda persona singolare, e il ritmo sostenuto danno vita a un romanzo breve che però non tralascia la precisione nelle descrizioni e l’accuratezza nell’introspezione. Forse la scrittura si abbandono troppo spesso alle figure retoriche, abbondando eccessivamente di paragoni. Per restare nel cliché del noir ci aspetteremmo un finale meno gradito per la protagonista, ma non per questo l’autore cade nella tentazione di voler consolare il lettore.

Un vortice dal quale è impossibile tornare indietro (Pietro Spirito, «Il Piccolo», 3 agosto 2010)

Emma è una donna di cinquant’anni, sposata e con due figli ventenni e ormai indipendenti. La sua è un’esistenza qualunque, simile a quella di tante altre donne come lei. Ma da qualche tempo Emma sente di essere prigioniera di se stessa, della sua vita, di suo marito. E anche di sua sorella Veronica, che ha solo due anni di differenza ma le somiglia come una goccia d’acqua, e con la quale ha sempre avuto un rapporto difficile e competitivo, soprattutto in amore. Dunque la vita di Emma è come sospesa, in stand-by. Il suo rapporto con il mondo intero è fatto di stanchezza, diffidenza, della sorda e sottile rabbia di chi sente di essere stato derubato un po’ alla volta di tutto ciò può rendere una vita migliore.
Finché un giorno suo marito incrocia per caso Veronica e la invita a una cena in famiglia. Emma ha così di fronte a sé le due persone che dovrebbe amare più di chiunque altro, e che invece negli anni le hanno rosicchiato l’anima e il cuore. Gli ospiti cenano, parlano ma la realtà sembra sgretolarsi davanti agli occhi di Emma: «I ricordi di Mario e Veronica sono tristi e vecchi come pensionati storpi in uno squallido centro anziani».
D’improvviso nasce in lei la scintilla criminale, assieme a una semplice consapevolezza: «L’odio ha una sola manifestazione che non sia ipocrita: uccidere». E così Emma, la tranquilla casalinga frustrata architetta su due piedi un piano che, nel delittuoso svolgersi degli eventi successivi, le aprirà la strada di una seconda possibilità, un’altra chance per dare una svolta alla sua vita. Perché non è vero che il crimine viene sempre punito.
È questo, almeno, l’implicito messaggio dell’ultimo romanzo del romano Daniele Borghi, «L’altra vita di Emma» (Fernandel, pagg. 123, euro 12,00), racconto dai toni noir costruito con un sapiente uso della seconda persona singolare, efficace nella rappresentazione dello straniamento, del processo che porta una persona ”normale” a scollegarsi dalla realtà fino a scegliere l’opzione omicida, perseguita con lucidità e determinazione per salvare se stessa.
Lo stesso espediente dello scambio d’identità, per quanto calcato su tinte forti per renderlo verosimile, viene giocato da Borghi con una certa abilità, anche se non priva di sbavature.
Ci resta, di questo romanzo breve pubblicato da un’editrice come Fernandel (www.fernandel.it) che ha la giusta fama di palestra e trampolino per giovani talenti, il gusto per una scrittura capace di dare corpo - pur nei toni accesi della novella criminale - a emozioni e sensazioni che albergano in quanti - non solo donne ovviamente - si trovano a fare i conti con una quotidianità, e un’emotività, che si avviluppano su se stesse fino a creare un vortice dal quale, a un certo punto, è difficile tornare indietro.