Gianluca Costantini, Vorrei incontrarti


Romanzo di formazione su musica di Alan Sorrenti

Vorrei incontrarti
Pagine: 128
Isbn: 9788887433586
Collana: Illustorie
Data di pubblicazione: maggio 2005



Il romanzo disegnato da Costantini è un racconto a metà tra il monologo di Mrs Dalloway e il racconto illustrato, dove le immagini costituiscono la struttura per un morbido flusso di coscienza. L’autore racconta dieci anni della sua vita in cui abitano l’amore, il desiderio, il conflitto generazionale, il viaggio e la provincia. Non dieci anni qualunque ma il delicato passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, quella “linea d’ombra” che tanti romanzi di formazione hanno cercato di cogliere. Vorrei incontrarti è un originale esempio di romanzo di formazione a fumetti, nel quale l’evidente autobiografismo mette a nudo incertezze e paure di un adolescente. I lettori di fumetti, che sono in particolare giovani e adolescenti, potranno facilmente riconoscersi in un percorso che inevitabilmente li rappresenta.
Costantini scrive per immagini, usando citazioni e figure dell’immaginario di cui si nutre la memoria di tutti noi, in un contesto in cui ciascuno può trovare la sua citazione amica, la sua immagine di riferimento, il suo brandello di memoria dimenticata. «Credi che tutto si possa fermare in modo rumoroso, brutale e volgare?», si chiede. La sua rincorsa lenta è il tentativo di fermare con dolcezza e trattenere quanto di norma ci scivola tra le mani.

Rassegna stampa

  • «Un racconto intimista» (Sergio Nazzaro, «Mega» n.93, marzo 2005).
     Una sorta di biografia, cammino dell'esistenza nel vivere quotidiano. Gianluca Costantini si misura con un racconto intimista, ma soprattutto con la sua arte. Tra segni e disegni si dipana un percorso di emozioni che tracciano confini non chiusi ma curiosi, così come solo la matita sa fare sul foglio. Costantini è ormai un riferimento per il fumetto di qualità italiano, che crea e promuove sempre le produzioni più stimolanti e intriganti (vedi inguinemah!gazine). Un libro da non perdere assolutamente, ed un plauso ad un editore che ha voluto scommettere su Fumetto puntando subito alla qualità. Bravi!
  • «Un’illustrazione grafica dalle linee minime e minimali» (Dario Goffredo, «Coolclub», luglio 2005).

    Vorrei incontrarti, di Gianluca Costantini, è il libro a cui spetta il compito di inaugurare la nuova collana dell’editore Fernandel “Illustorie”, che raccoglierà romanzi illustrati e che è curata dallo stesso Costantini, giovane fumettista e illustratore. Il libro narra di dieci anni della vita dell’autore, dieci anni che segnano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta e che sono a loro volta segnati dall’amore, dal desiderio, dal rapporto conflittuale con i genitori, dalla vita di provincia, dal viaggio. Un romanzo di formazione a fumetti dove ogni pagina è una vera e propria tavola che può vivere di vita propria, caratterizzata dalla finitezza e dalla compostezza di un’illustrazione grafica dalle linee minime e minimale, con un contrasto netto tra i disegni e la scrittura, intesa non soltanto come linguaggio ma anche e soprattutto come costruzione grafica. Il testo scorre lungo i disegni, è esso stesso disegno, a volte un po’ difficile da leggere per un miope come me, ma sempre suggestivo ed efficace nella costruzione della pagina. Un libro che si legge in fretta come un fumetto e un fumetto che si legge con l’attenzione che si dà ad un romanzo. Un buon esordio per una collana che promette bene, come tutte le iniziative editoriali di una delle migliori case editrici italiane.

    «Storie d'emozione tra fumetti e parole» (Monica Maggiore, «Qui Salento», 20 luglio 2005).

    Una mostra da leggere, questa volta, per il terzo appuntamento dell'art showcase di Big Sur che "spagina" I'ultimo libro di Gianluca Costantini nella galleria d'arte sul mare del Litos, a Portoselvaggio. Una serie di tavole illustrate tratte dal romanzo grafico dell'illustratore e fumettista taran­tino, edito da Fernandel che inaugura la nuova collana "lllustorie", una raccolta di romanzi illustrati a cura dello stesso Costantini.
    "Vorrei incontrarti" è un racconto a metà tra il monologo di Mrs Dalloway e il racconto illustrato, una storia autobiografica dove le immagini costituiscono la struttura sulla quale scorro­no morbidamente le parole. Ogni pagina, ogni tavola esposta, basta a se stessa e diventa casi un quadro in cui riconoscere emozioni, pensieri o domande. "Credi che tutto si possa fer­mare in modo rumoroso, brutale e volgare?", si chiede, mentre nasce una figura del suo racconto e le parole la contorna­no facendo da cornice ai personaggi, agli oggetti, alle città e ai momenti vissuti.
    Dieci anni importanti, quelli che vanno dall'adolescenza alla vita adulta sono raccolti e suddivisi in tredici capitoli in un libro coinvolgente come un romanzo e rapido come un fumetto dal fascino bianco e nero.
    Gianluca Costantini vive e lavora a Ravenna e giunge sul mare del Salento con "Vorrei Incontrarti", romanzo di formazione su musica di Alan Sorrenti. La presentazione del libro, a cura di Officine Culturali Ergot di Lecce, è il 24 luglio alle 21 nella suggestiva galleria d'arte sul mare del Litos che ospita l'iniziativa.

    «Quando il romanzo diventa fumetto» (Eliana Forcignanò, «Il Paese Nuovo», 26 luglio 2005).

    A colloquio con l'illustratore Gianluca Costantini, autore del libro Vorrei incontrarti edito per i tipi di Fernandel.
    Vorrei incontrarti è il titolo della mostra in corso al Litos: immagini e testo di Gianluca Costantini, illustratore ravennate e pioniere del romanzo a fumetti, un genere che, importato dagli Stati Uniti, in Italia comincia appena a muovere i primi passi guidato da giovani talenti desiderosi di aprire nuove strade all'espressione creativa. La mostra di Costantini è il terzo appuntamento con l'Art Showcase di Big Sur, rassegna dedicata a fotografia, illustrazione, grafica e scrittura. Illustrazioni e titolo delle mostra sono tratti dal romanzo a fumetti che la casa editrice Fernandel ha pubblicato in questi giorni, autobiografia di un'adolescenza trascorsa fra incontri, amori, viaggi. Gianluca la racconta fondendo suggestioni visive e giochi di parole in quello che lui stesso definisce un "flusso di coscienza". Qualcosa di diverso dal fumetto classico al quale siamo abituati: la scrittura non è prigioniera della consueta nuvola che esce dalla testa del personaggio, ma s'interseca con il corpo intero delle immagini, quasi a ricordare che parole, dialoghi ed emozioni sono un parto congiunto di mente e corpo. Intanto, Fernandel pensa già, ad un'intera collana di narrativa a fumetti: le difficoltà non sono poche, soprattutto se si considera la scarsa ricezione che il fumetto ha in Italia dove gli appassionati sono un'esigua percentuale della popolazione. Insomma, un autentico mercato di nicchia. E poi, realizzare un intero romanzo a fumetti appare un'impresa piuttosto ardua, soprattutto quando autore del testo ed illustratore non sono la medesima persona. Sorge, allora, la necessità di trovare una sintonia artistica calibrando il lavoro in maniera tale che immagini e scrittura acquistino uguale valore e si armonizzino nell'insieme. A Gianluca Costantini abbiamo rivolto qualche domanda sulla passione per il fumetto e sul suo romanzo che attende di essere distribuito nelle librerie.
    Se dovesse ricorrere ad una sola parola, come definirebbe la sua attività d'illustratore: un lavoro, uno svago, una vocazione? "Una vocazione, uno svago e un lavoro. Disegno da quando mi è stata data una matita in mano e messo davanti un foglio bianco. Disegno perché mi riesce facile pensare per immagini e trasporre in illustrazioni ciò che ho dentro. Certo, quando hai la possibilità di fare qualcosa che ti piace, in qualche modo, questo ti offre un'occasione per rigenerarti e ritrovare il contano con la tua dimensione più intima popolata da ricordi, emozioni, parole che credevi dimenticate, invece erano soltanto in attesa, riposavano negli angoli più nascosti della tua memoria. Non è un caso che nel mio romanzo io abbia scelto di collocarmi nel tempo della memoria, raccontando la mia adolescenza."
    E il lavoro?
    "Si, quella dell'illustratore è una professione, ma non dimentichiamo che io ho scelto la strada del fumetto. I fumettisti, agli occhi del pubblico, hanno un discreto fascino: talvolta, ci reputano persino dei personaggi mitici perché siamo i creatori dei loro eroi preferiti. Di fatto, chi opera nel nostro campo non è riconosciuto un vero artista in Italia, a causa di una lunga tradizione che assimila i fumetti a pubblicistica per bambini. Topolino docet. Questo è un pregiudizio difficile da sradicare, perciò il romanzo a fumetti è una scommessa rischiosa, a partire dalla sua collocazione sul mercato che non sarà nella nicchia dei fumetti, ma nella narrativa. Proviamo ad immaginare la faccia di un lettore che, curiosando fra gli scaffali di una libreria, si trovi improvvisamente in mano Vorrei incontrarti o un altro romanzo del genere: rimarrà di sicuro a bocca aperta, pensando che il volume sia finito nello scomparto della narrativa per errore. Passerà chissà quanto tempo prima che la gente comprenda l'esperimento e decida di avventurarsi nella lettura."
    Però l'incognita della ricezione non sembra ostacolare i primi, coraggiosi romanzieri a fumetti: qual è, dunque, il fascino di questa pratica creativa?
    "Si tratta di un terreno ancora inesplorato e, per questo, ricco di potenzialità. Negli Stati Uniti, il romanzo a fumetti è nato cinque anni fa, ma in Italia giunge soltanto ora e si offre all'inventiva di quanti non trovano nella sola scrittura o nelle sole immagini uno spazio espressivo originale e stimolante. E poi, illustrazioni e parole insieme hanno un impatto notevole sui lettori. Parlo di lettori, perché anche le immagini hanno un loro alfabeto che occorre saper leggere ed interpretare. Gli illustratori, di solito, entrano in possesso di questo alfabeto nel corso della loro formazione, ma il pubblico, di fronte ad un'immagine, è sovente disorientato come di fronte ad un codice scritto in una lingua ignota. Eppure, se imparassimo ad osservare con più attenzione, ci accorgeremmo di quanto le immagini siano in grado di raccontare."
    Il suo libro, Vorrei incontrarti, è una prova della forza narrativa che le immagini possiedono?
    "Sì, ad esempio, un'immagine basta a sostituire la descrizione di un paesaggio, così le parole rimangono per esprimere pensieri ed emozioni, l'essenziale e null'altro. Il ritmo e la musicalità dell'opera sono affidati interamente alle illustrazioni che hanno l'arduo compito di suscitare nei lettori un coinvolgimento emotivo e il desiderio di proseguire la lettura." Perché ha scelto di raccontare a fumetti la sua adolescenza?
    "È stata un'epoca intensa della mia vita: ho viaggiato molto, spingendomi anche fuori dall'Europa per arricchire la mia formazione. Ho appreso la calligrafia araba che ha influenzato i miei lavori: l'idea di fondere immagini e testo, liberando la scrittura dalla nuvola gabbia del fumetto tradizionale, mi proviene, forse, dalla cultura orientale che si fonda sull'intreccio continuo di materiale iconografico e parole.Vorrei incontrarti non ha uno svolgimento diacronico, ma raccoglie una serie di momenti per me significativi che ho voluto fissare sulla carta".

    «Nel mosaico dell'underground» (Ettore Gabrielli, Lo spazio bianco.it, 8 agosto 2005).

    Nel mosaico dell'underground: Gianluca Costantini Costantini è un artista iperattivo. Costantini ama l'arte underground. Costantini con il suo segno o ricchissimo di simboli e merletti, o linearissimo e leggero. Costantini e Inguine, gruppo e rivista che spaziano un po' per tutte le possibili espressioni artistiche con lo stesso impeto. In questo incontro virtuale con l'autore cercheremo di toccare tutti gli aspetti del suo concepire il fumetto e l'arte, e di parlare del suo ultimo romanzo, Vorrei incontrarti, edito da Fernandel.
    Nella romanzata biografia presente nella precedente versione del tuo sito, usavi una parola per molti versi indicativa del tuo percorso artistico: visioni. Mi sembra molto adatto per inquadrare la tua opera.
    Sì, è molto adatta al mio lavoro. Per un bel po' di anni ho basato la mia ricerca artistica proprio sulla visione, ispirandomi anche agli artisti che hanno vissuto di visione. Si può dire che questa ricerca è durata circa dieci anni. Da qui sono nati i miei primi albi a fumetto quali Aninalingua (Centro Andrea Pazienza) e Freethinker (Altervox Edizioni). Anche la scrittura era basata sulla visione.

    Potresti specificare meglio gli artisti di cui parli per le visioni? L'artista che adoro è William Blake, per l'unione che faceva della parola (poesia) con le immagini, poi William Burroughs per le sue parole e per la sua presenza in tutti i media. Altri per lo più pittori: Sophie Anderson, Edwar Burne-Jones, Philip Hermogenes Calderon, William Dyce, Kate Hayllar, William Morris, John Everett Millais, Walter Pater, Dante Gabriel Rossetti, e tanti altri...

    Tra gli artisti cui sei debitore, quali sono i punti di riferimento per il tuo modo di raccontare storie, e per il tuo segno?
    Sono debitore, in assoluto, di Bill Sienkiewicz: il suo Stray Toster mi cambiò le idee in testa. Il mio modo di raccontare viene dai romanzi, August Strindberg e James Joyce sono le mie muse. Ultimamente mi piace moltisso Dave Eggers, ha curato anche uno speciale sul fumetto insieme a Chris Ware! [Si tratta di McSweeney's #13: An assorted sampler of North American comic drawings, strips, and illustrated stories, & c., uscito a primavera 2004 - ndr]

    In che senso la scrittura era incentrata sulle visioni, e quanto lo è tutt’ora?
    Nel senso che era più una ricerca dentro alla mia testa, a quello che le poteva creare e inventare, una fuga dalla realtà, quasi una concentrazione estatica. Ora è molto diverso, il mondo non ti permette questo, c'è troppa violenza e tensione, bisogna raccontare quello che succede per non finire ad essere degli egocentrici decentrati. Ora succhio la realtà.

    Spesso nelle tue tavole/vignette si affacciano il quotidiano, sotto forma di denuncia sociale manifestata o con sottile e amara ironia, o con un goccio di straniamento, o semplicemente con la descrizione nuda, cruda e senza commento di un fatto, una persona.
    Si queste sono le cose che faccio ultimamente, ritraggo la realtà, distaccandomi dalla visione la realtà mi si è buttata in faccia e non ho potuto fare a meno che raccontarla. Mi sono buttato dentro, e devo dirvelo, la realtà è terribile e agghiacciante.

    Le tue storie più recenti sembrano sfuggire un poco dal concetto di vignetta, spesso è l'intera tavola ad essere occupata dal disegno e dalle parole, come quadri accostati l'uno all'altro dal tema affine. Anche la consequenzialità appare spesso sottile, sfuggente. C'è una precisa scelta, o una personale necessità, in questo modo di scrivere?
    Si, è una scelta di libertà, il fumetto non riesce a liberarsi dalla gabbia di costruzione e di narrazione. Questo lo limita molto. Come se in Arte si dovessero fare solo quadri figurativi. La parola e l'immagine diventano una sola cosa distruggendo, spesso, la costruzione della vignetta. Rimanendo però sempre una storia alle spalle, qualcosa che si racconta.

    Perché questa tua fuga dalla gabbia del fumetto, non solo classico o popolare? Credi che sia una strada più limitante per un autore, o lo è per te?
    Credo che il fumetto sia un mezzo inesplorato, quindi bisogna osare, uscire dalle regole, perché non fare fumetti su vetro? Perché non fare parlare le parole con le immagini, perché non disegnare con le ascelle? Cercare di raccontare quello che la scrittura da sola non può fare. Esagerare direi...

    Trovo che nelle tue tavole ci sia una sorta di battaglia tra il segno, la cui linea fluida e veloce lo rende simile alla scrittura, quasi un corsivo senza limiti di forma, e il testo, che si insinua tra le linee, attorno e dentro le figure e gli spazi. Più che una unione di tratto e parole, sembra il raggiungimento di una tregua tra i due.
    E' una guerra. La parola invade il mio immaginario e cerca di stritolarlo. Comunque continua ugualmente la mia ricerca che era partita dalla decorazione, la scrittura quasi una calligrafia diventa decorazione. Il disegno e la parola sono tutt'uno. Tutto questo è nato dal rigetto ai font del computer. Brutti e perfetti.

    Sembri sempre più portato verso la ricerca di un tratto che più che visualizzare cerca di iconizzare la realtà, cercando una sintesi estrema ma non astratta. E' una percorso naturale per i tuoi bisogni comunicativi?
    Si è così. Non posso fuggire a tutto quello fatto in questi anni, la ricerca sull'icona, sulla staticità, si riflettono anche in questa mia realtà.

    Ci vuoi parlare di queste ricerche, da dove sei partito e dove sei arrivato?
    Sono partito casualmente, da alcuni disegni che facevo per me, continuamente. Poi alcune persone le hanno viste nel mio studio, tra cui Aleksandar Zograf, e mi hanno spinto a pubblicarle. Sono anche molto aiutato dalla conoscenza di alcune persone che lavorano su queste cose, grazie alle mostre organizzate insieme all'Associazione Mirada ho avuto la fortuna di conoscere Joe Sacco e Marjane Satrapi e questo mi ha dato coraggio di farlo.

    Molte altre tue storie di qualche tempo fa, basti pensare anche alla Macchina Suprema pubblicata su Inguine, presentavano un grande affollamento di ricami, decorazioni. Un riempire la tavola oltre il disegno. Ora invece la pagina per lo più bianca raccoglie i tuoi pochi e lineari segni e le tue parole. Dal pieno al vuoto. I perché delle due scelte, i perché del cambiamento?
    Le mie scelte sono dovute a vari fattori, il tempo, non potevo più permettermi di stare settimane su una tavola, quindi parlando di realtà non potevo permettermi di far aspettare quello che volevo dire, anche solo un giorno, e l'immagine, quello che voleva comunicare, sarebbe stata vecchia. Comunque prima o poi "Macchina Suprema" la porterò a compimento.

    Ci vuoi parlare della genesi di questo particolare progetto?
    Macchina Suprema è un progetto fatto in collaborazione con lo sceneggiatore Giovanni Barbieri, le prime venti pagine sono state da me disegnate senza nessuna storia sotto, poi Giovanni ha messo insieme il puzzle, scritto i dialoghi e scritto il resto della storia mancante, quindi un modo di lavorare abbastanza insolito e anche molto difficile. Finora sono state fatte una trentina di tavole, in tutto dovrebbero essere sessantaquattro, un bel libro. Spero di riuscire a metterci le mani prima possibile.

    So che quello del simbolismo è un tema che ti interessa e che hai studiato a fondo.
    Preciso, non il simbolismo come corrente artistica, ma il simbolo come oggetto grafico, i suoi significati. E anche la decorazione come insieme di simboli.

    Il valore dei simboli ha un indubbio fascino, sebbene oggi giorno sono diventati strumenti non solo dell'immaginario o della tradizione, ma della pubblicità, della politica.
    I simboli sono ovunque e sono sempre esistiti, un buon esempio che cerca di spiegarne il potere è dato da Alan Moore nel primo libro di From Hell, quando viene fatta una visita guidata al cocchiere per le strade di Londra.

    O il numero 5 di Inguine, “dedicato” alla figura di Benito Mussolini...
    Si il signor Benito è ancora molto presente dell'immaginario degli italiani, non per niente il calendario più venduto non è quello delle veline ma di Mussolini. Abbiamo voluto dare una nostra visione sull'argomento, con l'aiuto di Joe Sacco che ci ha dato una bellissima storia.

    In una tua intervista (di Claudio Parentela - su www.komix.it) definivi il mondo del fumetto come un universo in gran parte autoreferenziale, chiuso. Credi che ci sia tanta differenza tra la situazione dell'"arte fumetto" e quella della pittura, o della letteratura, ecc...?
    Si c'è molta differenza. Il mondo del fumetto vive in un'altra dimensione, fuori dalla realtà. Soprattutto i disegnatori italiani, continuano a raccontare cose stupide, banali e cadono in una poetica vecchia e antiquata. Sono veramente pochi quelli che si distinguono per una ricerca sia sul linguaggio che sulla grafica. Basta guardare quello che fanno gli autori nelle altre parti del mondo per capirlo: Chris Ware, Joe Sacco, Dame Darcy, Ben Katchor, Phoebe Gloeckner, Felipe H. Cava & Raul, James Kochalka...

    Negli ultimi anni però, oltre alla nascita di gruppi di autori radunati da un progetto o da una rivista (come recentemente Canicola, Self Comics, i Cani, Orme, Black, Mondo Naif), si è pure assistito tutto sommato ad un impegno da parte di alcuni editori nel dare spazio ad una narrativa a fumetti ricca e personale, a modi di narrare non banali.
    Io direi, così tanto per farsi dei nemici, che sono molto banali. Non tutti naturalmente, ma la maggior parte. Per le prime tre che citi è presto per parlarne, su Orme non trovo nulla di veramente innovativo, Black non mi piace. Mondo Naif è interessante. Ma nessuna di queste cose rimane nella mia testa e soprattutto sono veramente troppo legate al mondo del fumetto solito. Niente di dirompente...

    Ma il fumetto ha bisogno anche del fumetto "solito", non trovi? Intendo dire che in un ambiente artistico/comunicativo "sano" coesistono tutte le possibili espressioni di un mezzo, dal commerciale più basso allo sperimentale più spinto, non trovi sia così?
    Non mi sembra che il fumetto abbia bisogno del "solito" ce né anche troppo. Ne è pieno il mondo. Io non dico che non ci debba essere anzi, ma visto che parliamo di cose nuove e visto che non citi "L'intrepido", credo che bisogna proprio porla così. Queste sono pubblicazioni a parte, Mondo Naif e Black sono fuori da un grande editore, hanno uno spirito da auto-produzioni, partecipano a Festival sul fumetto Underground, propongono disegnatori diversi da quelli Bonelli, non è cosi? Allora non bisogna credere che sia più facile essere così perché ci si autopubblica e non ci sono filtri di editore oppure di art director. Se delle cose fanno schifo, fanno schifo. Una cosa per essere underground o sperimentale non deve essere brutta e in capibile, anzi, il suo obiettivo è quello di raggiungere il massimo della chiarezza nel lettore, non si può essere diversi solo perché non si è capiti oppure perché nessun editore ti pubblica. Il problema, credo, è che non ci sono molti lettori interessati a questo tipo di pubblicazioni, non vendono molto solo perché sono destinati ad un pubblico inesistente... non è colpa degli editori né dei distributori.

    Nell'intervista citata più sopra, parli dell'utilizzo del PC nel tuo lavoro, definendo ciò che realizzi con il computer come "perfetto, inviolabile". Non è quasi un controsenso, parlando di immagini digitali continuamente ritoccabili, all'infinito, modificabili e, labilmente, cancellabili con un click?
    Anche i disegni sono continuamente modificabili, ma hanno un cuore. Le stampe digitali sono perfette, anche l'inchiostro è perfetto. Questo distrugge la sensibilità artigiana del fare le cose. Questo non vuol dire che sono senza valore, anzi, devono essere apprezzate proprio per questo. L'arte digitale è arte a tutti gli effetti.

    Un’arte matura, o ancora in fase di scoperta di se stessa?
    E' appena nata ma veramente interessante, nel mondo del fumetto basta guardare quello che è stato fatto da Dave Mckean, è stupefacente. Un nuovo modo di fare le cose, un nuovo montaggio dell'immagine. E' diventato quasi una scuola.

    Operi molto sul web e per il web. Personalmente credo che in Italia il suo sviluppo sia ancora agli inizi, sia per molti versi un mondo inesplorato nelle sue potenzialità. Come vedi il presente e il futuro della rete, in particolare per gli sviluppi e le opportunità che offre all'arte?
    Fino a qualche tempo fa avevo molte visioni e speranze per quanto riguarda il fumetto nel web, non per niente inguine.net era basato su questa frontiera. Comunque vedo che non prende più di tanto, non piace come la carta, sembra che prenderà sempre più piede come strumento di comunicazione e di pubblicità... Non credo che tra due o tre anni Internet sarà molto diversa dalla televisione. Sono un po’ negativo su questo argomento ultimamente...

    Un punto fermo del tuo lavoro mi sembra essere lo scambio di idee, l'associazione, il confronto, la mostra, il contatto tra gli artisti. Che significato hanno momenti del genere per un ambito come quello artistico del disegno e della scrittura, in cui la creazione è solitamente un atto solitario?
    Non credo più nell'artista solitario, sono cose vecchie e forse mai esistite. L'arte nasce proprio dallo scambio tra gli artisti. Artisti di tutti i tipi, scrittori, pittori, web designer ecc... Senza questo tipo di scambio ci si può sparare un colpo un testa, oppure cambiare mestiere.

    Parlavamo di unione tra gli artisti, e abbiamo accennato a Inguine. Vuoi parlarci di questo progetto, di cosa si propone, come è nato, chi è?
    Inguine.net è un'idea nata alla fine del 2000, un'idea confusa e composita, nata dall'amore per il fumetto. Tutti buoni motivi per trasformarla in una mistura di concreto e immateriale come un pugno di kilobytes in Rete, qualche migliaio di migliaia di zeri+uni che ricomposti sullo schermo del vostro computer hanno di nuovo l'aspetto di un'immagine, di un testo, di un messaggio lasciato poi chissà da chi. Inguine voleva andare al di là della fanzine, ma con l'obiettivo di tradurre l'odore (e il costo) della carta fotocopiata in un progetto Internet aperto e in continuo cambiamento. Dell'idea originale abbiamo cambiato molte cose, abbiamo fatto qualche esperimento e a volte ci siamo trovati con l'acqua alle ginocchia, in mezzo a un guado che non sapevamo dove portasse. Ma non ci siamo preoccupati più di tanto, uno dei primi slogan di Inguine.net era "Enjoy contradictions".

    Come si uniscono le realtà web, quella cartacea, e quella “fisica”, operativa del gruppo Inguine?
    Gli ideatori e beati costruttori di inguine.net sono Gianluca Costantini, Marco Lobietti, Sandro Micheli, Vanni Brusadin. L’ultimo è stato fagocitato dalla sagrada familia di Barcellona. Gli altri resistono. Le loro biografie, malgrado la tenera età, sono troppo lunghe e dettagliate per essere riportate. Vedetevi il sito, attaccate qualche adesivo sul vostro computer, ricordando sempre il motto del padre putativo Orazio:"Finché sei giovane affidati ai migliori. Un vaso conserva a lungo l’odore di ciò che vi si versa." Poi Inguine è andato su carta grazie a Francesco Coniglio, e con l'aggiunta in redazione di Elettra Stamboulis, ora i due mezzi vivono in sintonia operativa.

    La riuscita in fumetteria di una simile rivista non era così scontata, eppure Inguine Mah!Gazine ha chiuso il suo secondo anno editoriale di vita. Avevi fiducia nel progetto cartaceo?
    Certo che avevo fiducia, ormai siamo al sesto numero e stiamo preparando il settimo. Credo che a differenza delle altre riviste che ultimamente stanno nascendo, noi abbiamo dalla nostra parte una maggiore progettualità e soprattutto i migliori disegnatori del momento, sia per quanto riguarda gli stranieri che gli italiani. Siamo anche molto conosciuti fuori dall'Italia.

    Si tratta di una rivista che va un po' fuori dai canoni tipici di una rivista a fumetti. Un sfida che il mercato sta accettando, quindi?
    Non credo vada fuori dai canoni, anzi è una rivista a tutti gli effetti, articoli, interviste, presentazioni ecc, ecc... Il mercato non accetta mai queste cose, ma la costanza può servire a rompere il muro.

    Chi sceglie le storie da pubblicarvi? Come scegliete la linea conduttrice dei singoli albi?
    Le storie da pubblicare le scegliamo insieme, quello che ci piace di più, guardiamo soprattutto i disegni sui muri delle città per trovare i nuovi autori, le linee conduttrici dei numeri vengono fuori casualmente, il numero sette sarà sul tema del "carcere".

    Altri progetti futuri?
    Oltre al nuovo Inguine tutto italiano sul tema del carcere, il primo speciale di Inguine che conterrà la ristampa completa di "Snake Agent" di Stefano Tamburini, e la pubblicazione di Cannibal Kitsch n. 1 con Nicola Pesce Editore, un albo di 32 pagine con fumetti inediti e non con testi di Carlo Branzaglia, Massimo Galletti e Giovanni Barbieri con alcune illustrazioni fatte a 4 mani con Roberto Baldazzini e Claudio Parentela. Poi come mostra sto organizzando il festival "Komikazen" a Ravenna che avrà dei super ospiti quali: Phoebe Gloeckner, Felipe Cava, Nicole Schulman, Marjane Satrapi, Tomaz Lavric, Kamel Khelif ecc...

    Soffermiamoci un attimo sul tuo ultimo romanzo, Vorrei incontrarti. Quando nasce questo volume?
    Il testo di questo volume nasce all'inizio del 2000, poi è rimasto in un cassetto per tre anni, non sapevo come disegnarlo. Poi un po' alla volta il disegno è venuto fuori da solo. In un anno è stato pronto.

    Perché la scelta dell’autobiografia, per comunicare, per sfogare un bisogno, o cosa?
    La scelta autobiografica è stata casuale, avevo bisogno di raccontare queste cose, per non perderle nel mio cervello, ora sono lì belle fissate. Sono anche un po' dure a volte sulle persone di cui parlo. Ma questa è la mia realtà ed è così.

    Autobiografia, ma anche flusso di coscienza, altro possibile tassello per definire il tuo lavoro. Conta più l’atmosfera generale che la singola scena?
    Assolutamente, questo testo è un vero flusso di coscienza, in questo libro è molto più importante l'atmosfera, nei miei precedenti lavori era più importante il particolare. Questo mi ha dato la possibilità di raccontare più cose.

    L’adolescenza, ancora una volta protagonista di un romanzo di formazione. Cosa ha rappresentato per te questo periodo?
    Un romanzo di formazione deve essere per forza sull'adolescenza, nessuno si forma a cinquant'anni, per quanto mi riguarda è un periodo molto importante ma difficile da capire e analizzare, forse per questo in tanti ci provano, è un po' il medioevo della nostra vita.

    «Frustrante e rivelatorio» (Vittore Baroni, Pulp, settembre-ottobre 2005).

    Negli ultimi anni pochi si sono dati da fare per movimentare la nostra scena fumettistica quanto Gianluca Costantini, promotore a getto continuo di iniziative espositive ed editoriali, tra cui la rivista "inguine" e ora la collana di racconti a fumetti "Illustorie" per Fernandel, inaugurata da questo suo breve "romanzo di formazione". Abbandonando gli intricati pattern decorativi che ne contraddistinguono lo stile in favore di una più rapida, diretta e minimale "linea chiara", l'autore ravennate resta comunque più vicino ad una ricerca di stampo artistico (un po' come Echaurren) che non al fumetto puro. Al tempo stesso frustrante, per l'assenza di ironia e intreccio narrativo, e rivelatorio, per l'impietoso autobiografismo che mette a nudo narcisismo e vacuità dell'annui intellettuale, è qui il tentativo di cogliere "il delicato passaggio dall'adolescenza alla vita adulta" mediante frammenti di un lirico e solipsistico flusso di coscienza, esasperando pregi e difetti del fumetto indie europeo con un piede nella galleria d'arte. Ci troviamo insomma agli antipodi rispetto alle schegge di storia quotidiana archiviate dall'eclettico Costantini nell'esperimento www.politicalcomics.org.

    «L'educazione sentimentale, la provincia, i viaggi e il tempo che passa» (Giancarlo Ascari, Diario della settimana, 20 novembre 2005).

    Un giovane autore attivo nell'editoria underground e di base racconta la propria educazione sentimentale, la provincia, i viaggi e il tempo che passa. Con segno semplice ed elegante e una progressione quasi musicale dei testi è descritta la transizione dall'adolescenza alla maturità. Un filtro in equilibrio tra immagine e poesia che procede per associazioni mentali e ricordi, a volte ermetico, mai gratuito.

    end faq

    {accordionfaq faqid=accordion3 faqclass="flickfaq defaulticon headerbackground contentbackground round5" active=item1}
  • «Un libro in equilibrio tra immagine e poesia» (Giancarlo Ascari, «Diario della settimana», 25 novembre 2005)

  • «Specie protette. I maschi sentimentali si dichiarano (a fumetti)» («Marie Claire», novembre 2006)


  • I libri di Gianluca Costantini pubblicati da Fernandel: