Il cuore a Dio

Margherita e Gentile beate di Russi. La storia, l'iconografia, il culto.
a cura dell'Associazione Culturale “Ettore Masoni”

Il cuore a Dio
Pagine: 112
Formato: cm 21 × 29,7
Collana: Fernandel Scientifica
Data di pubblicazione: 15 gennaio 2008


«Negli anni in cui visse Margherita Molli (e Gentile Giusti) – tra la fine del ’400 e la prima metà del ’500 – il mondo era un mondo di cattivo cristianesimo. Un po’ come quello di oggi, anche se rispetto ai tempi delle Beate ravennati, la società attuale è una società incristiana, scristianizzata, come si nota facilmente osservandone le miserie, che non sono più – come allora – cristiane. Cinquecento anni fa, nonostante la diffusa corruzione sociale, civile ed ecclesiale (di lì a poco Martin Lutero avrebbe dato vita alla sua Riforma), Margherita e la discepola prediletta Gentile furono protagoniste ed anticipatrici di una esperienza di profondo rinnovamento della e nella Chiesa, portato poi a compimento dal Concilio di Trento. È questa una possibile riflessione emersa dalla mostra dedicata a Margherita, ma ‘comprendente’ inevitabilmente anche Gentile, che l’Associazione Culturale “Ettore Masoni” ha proposto, promosso ed allestito nella Sala Maccabelli (ex Chiesa di S. Maria in Albis) di Russi nel 2005 (dall’8 ottobre al 13 novembre), 500° anniversario della morte della Beata Margherita, sotto la sapiente regia dell’amico prof. Piergiorgio Bentini, responsabile organizzativo dell’evento, che ringrazio di cuore insieme a tutti gli enti e le persone che hanno contribuito, ieri, alla realizzazione della mostra, ed oggi, alla pubblicazione di questo catalogo commentato...»
(Dall'introduzione di Elio Pezzi, presidente dell'Associazione "Ettore Masoni").


Le Beate Margherita e Gentile: due donne “nello infinito abisso della divina charità” (Giovanni Zaccherini, «La voce di Romagna», 1 giugno 2008)

“Non bisogna operare cosa alcuna, per fuggire l’inferno; né per guadagnare il Paradiso; né per acquistar da Dio alcun dono over gratia: ma solo ci riputiamo singolarissima gratia poter operare per amor di tanto Signore riputandosi indegni di ogni gratia & questo è un secreto utilissimo”.
E’ una delle regole della “Confraternita del Buon Gesù”, fondata in Ravenna, agli inizi del ‘500 dalla beata Margherita Molli (1442-1505), se ci riflettiamo, in queste poche righe sembra presentire quella “giustificazione per la fede” che sarebbe stato uno dei cardini della teologia luterana.
E proprio a questo spirito di riforma e rigenerazione si rifà la vita e l’apostolato di Margherita Molli e della sua discepola Gentile Giusti che proprio a Ravenna condussero la loro battaglia contro la corruzione del clero, tanto dilagante che lo stesso potere secolare doveva intervenire per perseguire i delitti e gli abusi dei religiosi.
La vita leggendaria delle due ascete , che da una parte risente del misticismo medievale, ma che dall’altra si proietta verso i movimenti laicali moderni, ci è narrata, con ingenuità agiografica e con acume teologico, dal celebre predicatore Padre Serafino Aceti da Fermo e pubblicata nel 1535.
Margherita Molli veniva da un’agiata famiglia di Russi, ma ben presto si trasferì a Ravenna; cieca fin dalla nascita, quasi che “essendo nata sol per contemplare le cose divine, non riguardasse mai le cose terrene.”, già a partire da cinque anni cominciò a “disprezzare ogni morbidezza”, rinunciando ad ogni ricchezza e privilegio, mortificando il corpo con digiuni e privazioni e “solea mirabilmente essaltar la castità”.
La fama delle sue virtù si diffuse in tutta la città e in tutta la Romagna, e a Ravenna, purtroppo, cominciò un’opera di demolizione e spregio condotta dal clero lassista che temeva di uscire delegittimato dal confronto con la beata.
Margherita accettò questo linciaggio morale come una prova a cui era provvidenzialmente sottoposta e continuò nella sua opera benefica, confortando e convertendo peccatori sull’orlo della disperazione, compiendo miracoli col risanamento di storpi e scacciando demoni; inoltre, pare fosse dotata di spirito profetico.
Infatti, come scrive Padre Serafino: “Molte cose ha predetto delle quali alcune sono successe come la presa & strage di Ravenna e alcune altre aspettiamo; come la rinovatione della chiesa, la distruttione della legge Maomettana…”
E se in patria non fu profeta, altrove fu accolta trionfalmente, come a Rimini, dove giunse dopo un tormentato viaggio notturno in barca, per sfuggire i pericoli degli agguati banditeschi dell’entroterra: “Essendo…andata a Rimino, fu fatto allei concorso di tutto il popolo insieme col clero; & da tutti era chiamata, & adorata per santa…”.
Anche la sua morte profuma di leggendaria purezza, infatti, dal suo corpo emanò una rugiada di viole “che tutta la casa ne fu ripiena, & durò … per molt’anni”.
Il frutto più salutifero della maternità spirituale di Margherita fu la sua prediletta discepola Gentile Giusti (1471-1530), giovinetta bellissima, data in sposa al calzolaio “Pianella”, probabilmente contro il suo volere, fu madre di due figli, uno che morì in tenera età e l’altro, che, nato deforme, fu risanato da Margherita e divenne stimato sacerdote.
Iniziò, così, per lei una via crucis familiare, data la difficile convivenza di una rigida professione di ascetismo coi doveri della vita coniugale, tanto che il marito, esasperato, si trasformò in sadico vendicativo: “ & la facea scusare il matrimonio un martirio, facendola la maggior parte della notte lavorare, & cuscire panni; lacerandola con vituperose parole; & alcuna volta furiosamente percotendola”.
Alla fine, soggiacendo Gentile mansuetamente e non ribellandosi alle sue vessazioni, la denunciò come “incantatrice” alle autorità ecclesiastiche, che furono ben liete di troncare sul nascere un altro caso di spiritualità che le avrebbe messe in cattiva luce e lo stesso inquisitore fra Bernardino da Bertinoro “pubblicamente sul pulpito hebbe ardimento calunniarla et minacciarla di grave punitione…ma poi che hebbe parlato con la predetta Madonna Gentile, ne trovando quello che gli era stato riportato, lasciò l’impresa e si partì confuso”.
L’ultima, diabolica calunnia per distruggerla fu l’infamante accusa di diffondere la peste, per cui fu reclusa per quaranta giorni in un lazzaretto.
La sua vita fu, poi, una sequela di malattie e di privazioni, anche perché, abbandonata dal marito, patì letteralmente la fame, nonostante questo, “nello infinito abisso della divina charità si immerse” fu prodiga di quel poco che aveva con i più poveri di lei.
Oltre alle opere di carità e di santificazione, Gentile, dimostrò anche sorprendenti capacità organizzative, avviando la trasformazione della Compagnia fondata dalla sua maestra, in “Congregazione dei Preti regolari del Buon Gesù”, che, oltre alla funzione catechistica, si premurava, con spirito moderno, di alfabetizzare i figli delle famiglie meno abbienti. La fama della santità delle due religiose, ben presto si trasformò in culto, che fu ufficializzato nel 1659, ma già prima, nella stessa iconografia colta e popolare abbiamo esempi della loro popolarità, come bene evidenzia, con dovizia di tavole, il bel saggio sulle due “Beate” promosso dall’ Associazione Culturale “Ettore Masoni” di Russi, curato da Maria Rita Bentini, Piergiorgio Bentini, Paola Novara e Giorgio Orioli e recentemente edito dalla “Fernandel scientifica” di Ravenna.
A partire dalle tele di Francesco e di Barbara Longhi, Margherita viene usualmente rappresentata in atteggiamento orante, cieca e munita di bastone, che ha anche il valore simbolico di guida nella fede, mentre Gentile è dipinta con un viso dai dolcissimi lineamenti e generalmente porta una mano al petto a significare il suo totale rimettersi e confidarsi al divino disegno.