Laura Bottazzi, Susanna



«V
i prego di fare silenzio».
La voce perentoria, eppure calda e avvolgente come una sciarpa di seta. Ti guardo arrossendo e mi perdo nei tuoi magnifici occhi grigi. Ti volti verso la lavagna e ricominci a spiegare e a narrare di vecchie storie polverose, piene di date e guerre, come se l’uomo non avesse fatto altro che combattere.
La classe tace per qualche istante.
Un breve passaggio di mani e arriva sul mio banco un bigliettino di Cristina: «MA QUANTO FICO È??!!»
Laura Bottazzi
Laura Bottazzi è nata a Castelfranco Veneto nel 1975 e ora vive a Viterbo. Il racconto lungo Susanna fa parte di una raccolta di testi inediti in cui l’autrice descrive le vicissitudini di ragazzi e ragazze che tentano di combattere una guerra senza esclusione di colpi per raggiungere la felicità derivante dall’amore. Susanna, la protagonista del racconto, è un'adolescente alle prese con le prime esperienze amorose. Apparentemente fragile, ma in realtà molto tenace, si scopre perdutamente innamorata del proprio professore di storia. Per lei l’amore è tutto, forse perché è quello che non riesce a trovare all’interno del proprio contesto familiare. In una girandola di iniziazioni sessuali e giochi maliziosi, i ruoli si confondono fino ad invertirsi. Scoprendo così che un sentimento all’apparenza innocuo e positivo può in realtà celare un’arma affilatissima e potenzialmente distruttiva.
Nel 2009 Laura Bottazzi ha pubblicato il suo primo romanzo, Una pelle bellissima.
Sorrido, a lettere minuscole aggiungo: «Io lo amo già! Vorrei che tutti i giorni ci fosse storia! Speriamo che la Fanton non torni più». Poi semino qua e là qualche cuoricino e passo il foglio. Quanto dura una maternità? Non oso chiederlo a Cristina perché probabilmente mi prenderebbe in giro. Ma non posso nemmeno domandarlo a mia madre; sospettosa com’è penserebbe come minimo che sono incinta. Forse dovrei interrogare la bidella; i bidelli sanno sempre tutto sui professori.
Mentre ti guardo immagino che tu ti accorga di me. Vedo tutto come se fosse un film: la campanella suona, tu mi chiami e mi chiedi di rimanere un attimo in classe. Mi guardi con occhi pieni d’amore e io mi sento bella e sicura di me.
«Susi…» mi dici con voce tremante. «Susi, ho bisogno di parlarti».
«Mi dica professore».
Ma tu invece di parlare avvicini la tua bocca alla mia e mi baci con passione. Mi abbracci forte, mi sussurri parole d’amore.
«Bene ragazzi». La tua voce interrompe il flusso dei miei sogni. «Per la prossima lezione voglio che leggiate i capitoli quattro e cinque».
La campanella suona. È solo un rumore breve, squillante, ma io lo odio, non voglio che tu te ne vada, ho bisogno di vederti ancora, di stare sempre con te.
Invece tu ci saluti e te ne vai. Alzandomi ti guardo sperando che tu ti accorga di me. Per un breve istante i nostri occhi si incrociano. Sento qualcosa di caldo sciogliermi il ventre e il cuore impazzisce.
Cristina mi raggiunge: «Che fai lì impalata?»
Non le rispondo così lei continua: «Penso che è il primo anno che mi piace storia».
Non la guardo seguendoti, cercando di intercettarti di continuo, odiando tutti quelli che nel caos del cambio dell’ora ti passano davanti nascondendoti a miei occhi.
«Penso che sia…» Dico alla fine.
«Eh?»
«Penso che sia, non “penso che è”».
«Pallosa che sei, oh!»
«Credo di amarlo».
«Chi? Il prof?»
Comincio a camminare verso la prossima aula, per la prossima lezione, come in una staffetta per cui ho perso interesse.
«Hai fatto mate?» Chiede Umberto affiancandomi.
«Sì».
«Tutta?!» Domanda sgranando gli occhi.
«Sì».
«Che secchiona di merda» fa eco Cristina stendendosi il rossetto sulle labbra e rimirandosi soddisfatta nello specchio da borsetta. Ostenta una certa aria di superiorità, come se il preoccuparsi della scuola fosse una cosa da sfigati.
Umberto rimane in silenzio con aria abbattuta. Poi, trascinando i piedi, borbotta: «Come diavolo hai fatto?»
«Perché lei è più intelligente di te». Risponde Cristina al posto mio.
Umberto le tira un’occhiataccia e si va a sedere al banco.
Non me ne frega niente. Non me ne frega niente di matematica, di Umberto, di Cristina. Mi siedo a mia volta e l’unica cosa che vorrei è non essere qui ma ovunque vicino a te. Pensare che Umberto mi piaceva… quanto mi sento sciocca ora se penso a tutte le volte che ho cercato di farmi notare da lui! Non vedevo l’ora di venire a scuola per incontrarlo, mi piacevano da morire i suoi occhi azzurri, i capelli biondi un po’ lunghi. Ora mi sembra così scialbo, in confronto a te!
È solo un ragazzino.
Chissà dove abiti, com’è la tua casa. Se fossi la tua fidanzata torneremmo a casa assieme e io ti cucinerei qualcosa di buono per pranzo, tu diresti che mi ami e senza nemmeno aspettare un attimo mi prenderesti lì, sul tavolo, incurante dei piatti apparecchiati, e io mi lascerei amare e travolgere dalla tua passione per me. Ti direi che ti amo, che voglio stare tutta la vita con te. I nostri corpi nudi si stringerebbero più forte, come se ci volessimo divorare, mi diresti che mai nessuna ti aveva fatto provare ciò che senti per me.
Vorrei accarezzarti i capelli, passarci le dita, poi scendere, lentamente, verso le spalle. Baciarti dolcemente sul collo, salire fino alla bocca, perdermi in te, sentire il tuo alito caldo, la tua lingua sulla mia. Invece sono seduta qua, a scarabocchiare cuoricini su un foglio di quaderno. Dio, mi sembra di impazzire.

Sono a casa. Senza di te, senza la consolazione di sapere che anche tu mi vuoi. Ieri ti ho seguito e finalmente so dove abiti. Ho aspettato che tu salissi a casa e mi sono avvicinata al tuo campanello, ma non sono riuscita a suonare. L’ho solo guardato… non ho fatto altro che rimirare il tuo nome scritto in stampatello per almeno dieci minuti. Solo dopo un bel po’ mi sono resa conto che su quella stupida targhetta c’era esclusivamente il tuo cognome, nessuna aggiunta estranea, nessuna traccia di una presenza femminile nella tua vita, non lì, non a casa tua, non sul tuo citofono.
Sono tornata a casa felice come mai, mi sembrava che il motorino volasse anziché rimbalzare rumorosamente sull’asfalto. Quando sono entrata avevo un sorriso ebete sulla faccia che non riuscivo a scacciare via. Mia madre mi ha chiesto cosa avessi da sorridere tanto, ma non le ho detto niente. Come potrei confidarle che sono innamorata di te? Non potrebbe mai capire, nemmeno tra dieci vite. Così ho scrollato le spalle e le ho risposto che ero di buon umore, tutto qui. Per tutta risposta mi ha detto che non gliela racconto giusta. Certe volte non la sopporto, non mi permette nemmeno di essere felice in santa pace.
Come sei bello amore mio! Ho come un nodo allo stomaco ogni volta che ti penso, e non riesco a mangiare. La vedo che mi sta guardando e so che tra un attimo attaccherà con la solita solfa. E infatti eccola, apre la bocca, corruccia le sopracciglia ma guarda il suo piatto come se la sua domanda fosse la più innocua del mondo: «Come mai non mangi? Non hai fame?» «No, non molta, mamma».
«Com’è che non mangi ultimamente?»
Scrollo le spalle, questa conversazione mi sta già facendo dar fuori di matto.
«Non ti sarai mica messa a dieta?» Incalza lei.
«È solo che non ho fame».
«Non hai nessun bisogno di dimagrire, sei già troppo magra».
«Infatti non voglio dimagrire».
«Se non mangi come pretendi di non dimagrire?»
«Non so».
«Tu non me la racconti giusta Susi, non starai mica diventando…»
Alzo gli occhi: «Diventando?» e mentre lo chiedo, sapendo già cosa dirà, mi sento sempre più furiosa.
«Non ci posso nemmeno pensare…» risponde con voce lagnosa.
«Diventando?»
«Lo sai benissimo! Togliti dalla testa l’idea di dimagrire, ci manca solo che mi diventi anoressica!»
Finalmente l’ha detto. Ora potrei anche ucciderla, veramente, oppure andare in bagno e vomitare quel poco che ho ingoiato. Se non mi facesse schifo cacciarmi le dita in gola lo farei, giuro che lo farei.
«Comunque non sto cercando di dimagrire».
«Lo spero».
Non dico niente e infilo la forchetta tra gli spaghetti ormai freddi. Ne arrotolo qualcuno e li porto alla bocca. Lei mi sta osservando, furtivamente, come suo solito, così cerco di masticarli anziché sputarli fuori, e mi sembra uno sforzo enorme, una vera tortura. Alla fine cedo e allontano il piatto.
«Non mangi più?»
«No».
«Ti dovresti sforzare almeno un po’».
«Vado in camera».
«Non vuoi qualcos’altro?»
«Devo fare un mucchio di compiti».
«Oh…»
Mi alzo prima che possa venirle in mente qualcosa da aggiungere e mi infilo in camera mia. Questa casa mi sembra un carcere. La mia casa è una prigione e io non posso scappare. Non è giusto, io voglio solo essere lasciata in pace!

Odio andare a scuola in motorino, i capelli si schiacciano sotto il casco e i miei ricci si disfano in un groviglio disordinato. Vorrei già avere la macchina, così arriverei a scuola in condizioni perfette, ti passerei davanti con passo sicuro e sentirei il tuo sguardo scivolare ammirato su di me, sulle mie curve, sui miei capelli ordinati e vaporosi. Invece sono nell’atrio e spero che tu sia lontano quel tanto che basta da lasciarmi il tempo di infilarmi in bagno per darmi una sistemata.
Mi nascondo tra la folla di studenti che si apprestano ad entrare in classe, veloce, più veloce che posso. Furtiva come una ladra mi dirigo verso il bagno e la tua voce mi sorprende alle spalle: «Ciao Susi».
Ho un sussulto e già mi accorgo che le mani iniziano a sudarmi. Non ho il coraggio di voltarmi perché mi sento la faccia rossa come un peperone, le guance mi pulsano al ritmo del cuore. Alla fine lo faccio, ti affronto: «Buongiorno professore».
Stai sorridendo. Il sorriso più bello e dolce che abbia mai visto. Lo stomaco si stringe del desiderio di essere tua. Tutta la scuola è solo un vago contorno, avverto appena un lontano vociare confuso, ed è strano, ma sento di essere dentro ad un mondo solo nostro.
«Come stai?»
«Non c’è male, lei?»
Annuisci con un vago cenno del capo, poi continui: «Oggi pensavo di interrogare, Susi…»
«Oh!» Rispondo senza sapere bene cosa dire. È un avvertimento? Vuoi forse capire se sono preparata? Mi stai aiutando perché anche tu provi qualcosa per me?
«Comunque non ho ancora deciso…»
«Oh!» Ripeto incapace di aggiungere altro, totalmente paralizzata sento il panico che sale, mentre non faccio che pensare a cosa potrei dire di intelligente o anche di stupido, ma che mi faccia aprire questa maledetta bocca per darle fiato! Una qualsiasi cosa, santo cielo, qualsiasi! Ma non esce niente, maledizione, e lui penserà che sono un idiota.
«Be’, poi vedremo» aggiungi sempre sorridendo. «Ci vediamo dopo».
«Sì!»
Omiodio, mi ha parlato! Non ci posso credere. Ha fermato proprio me, mi sembra di vivere un sogno. Cerco Cristina con lo sguardo per raccontarle tutto, poi mi ricordo dei miei capelli e decido di andare prima in bagno.
Quando entro la trovo lì, intenta a sistemarsi il rossetto.
«Ciao» dice vedendo il mio riflesso nello specchio.
«Ciao» rispondo. Poi, senza darle il tempo di dire una qualsiasi cosa, aggiungo: «Mi ha parlato!»
«Chi?»
«Il prof di storia!»
«E allora?» Chiede con aria di sufficienza.
«Non so… mi ha chiesto come stavo e ha detto che forse interroga».
Cristina sbarra gli occhi: «Come interroga!?»
«Sì, ma non è sicuro».
«E me lo dici così, cazzo?! Io non ho studiato niente!»
«Sai che novità».
«E perché l’avrebbe detto a te?»
«Appunto!»
«Uhm, forse interrogherà te».
«Magari era solo una scusa per parlarmi…»
«Tu dici?»
«Non so… l’altro giorno l’ho seguito».
«Ma sei scema? L’hai seguito dove?»
«Fino a casa sua».
«E?…»
«Sono andata fino al suo campanello».
«Ti ha vista?»
«No, non credo».
«E cosa hai fatto?»
«Niente! Sono andata lì e basta».
«Certo che sei strana forte».
«Pensi che potrei piacergli?»
«Non so… è grande per te».
«Non è vero!» Rispondo senza esserne del tutto sicura.
Cristina alza le spalle e guarda l’orologio: «Dobbiamo andare in classe» dice incamminandosi verso l’uscita del bagno. La guardo ancheggiare ad ogni passo, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, i jeans aderenti a fasciare il sedere abbondante e per un attimo sento di odiarla.

È strano, ultimamente mi sento più attraente. Non dipende da te, dal fatto che vorrei piacerti ad ogni costo, è qualcosa di diverso, che mi appartiene. Prima i ragazzi non mi guardavano così, anzi, poco ci mancava che mi scansassero, ora invece mi pare che perfino Umberto mi guardi con nuovo interesse. Mamma dice che sembro una donna, ma lo dice con disapprovazione. Fosse per lei non dovrei mai truccarmi, né mettermi le gonne corte; sostiene che mi fanno sembrare una da strada, ma anche se fosse a me non importa, perché in fondo attirare l’attenzione mi fa sentire bene.
Anche adesso, Umberto non fa che girarsi verso di me. È proprio vero che le cose si ottengono quando non le si vuole più: fosse stato qualche tempo fa, sapere di piacergli mi avrebbe fatto toccare il cielo con un dito. Be’, non mi dispiace nemmeno ora a dire il vero, ma è solo un ripiego, niente a che vedere con te.
Umberto mi passa un bigliettino. Mi chiede se oggi dopo la scuola ci possiamo vedere che deve parlarmi.
La prof di mate mi sta guardando. Cavolo, non ci voleva, mi sa che se ne è accorta.
«Linetti! Ci vuole rendere partecipi dei suoi interessi?»
«Scusi professoressa».
«Porti qui quel bigliettino per favore».
«Ma…»
Maledizione, questa proprio non ci voleva. Mi alzo riluttante e le consegno il biglietto. Lei non lo guarda e lo infila sotto il registro: «Può tornare a sedersi».
Tiro un sospiro di sollievo e vado al mio banco facendo un segno di assenso ad Umberto. Mi chiedo cosa avrà da dirmi di così importante.

Sembra essere passato un tempo interminabile quando finalmente la campanella suona. La prof di matematica esce scordandosi il biglietto di Umberto dentro il registro, se mi concentro riesco a vederne un lembo fare capolino. Tu stai per arrivare, non c’è tempo da perdere, mi alzo di scatto dalla sedia e cerco di raggiungere la cattedra prima che arrivi in classe. Sono a metà dell’aula quando ti sento aprire la porta e ti vedo entrare a passo deciso. Cavolo, non ci voleva. Faccio dietro front e torno a sedermi. Speriamo che tu non ti accorga di quel foglietto. Maledizione, potrei morire di vergogna se tu lo leggessi. Chissà cosa potresti pensare; forse che non mi piaci, che non ti penso nemmeno lontanamente. Sarebbe un disastro, credo che non riuscirei a sopportarlo.
Ti guardo mentre ti siedi e tiri fuori dalla cartellina il libro di storia. Apri il registro, gli dai uno sguardo, poi ti rivolgi alla classe. Sto tremando e il mio cuore pare esplodermi in petto. Incrocio le dita e quasi mi sorprendo a pregare che tu non veda quel maledetto pezzo di carta.
«Oggi pensavo di interrogare…» dici come soprappensiero.
Un borbottio generale e all’unisono esplode un no che unisce tutta la classe in un’unica voce. Sorridi. Mi guardi, mi sento arrossire, incapace di sostenere i tuoi occhi fisso il libro aperto a non so quale pagina, una a caso, dove le parole si confondono in macchie indefinite di inchiostro nero.
Quando li rialzo, ti vedo con il volto già chino sull’elenco dei nomi, la penna che scorre, fermandosi qua e là, indecisa.
«Argenteri» dici infine.
Francesco si alza con aria disperata. Tutto intorno il silenzio sollevato degli altri lo accompagna fino a te. L’interrogazione inizia e mi godo le tue domande e i tuoi gesti di disappunto alle risposte imprecise di Francesco. Immagino che in una discussione tra noi due ti comporteresti così, alzando le sopracciglia per farmi sentire sciocca, muovendo le mani con aria insofferente, per poi accorgerti di amarmi alla follia e abbracciarmi con tutte le tue forze.
L’interrogazione sta durando più del previsto. Francesco sa poco e tu cerchi misericordiosamente di salvarlo ottenendo solo di prolungare la sua agonia. Alla fine ti arrendi e lo rimandi al posto con un quasi sufficiente del tutto immeritato.
Riapri il registro e ricomincio a tremare. Non ci sono che poche pagine tra la lista dei nomi e il biglietto di Umberto, basterebbe un’occhiata più attenta da parte tua e tutto ti si rivelerebbe. Giro la testa verso Umberto cercando in lui le tracce della mia stessa tensione. Mi lancia un’occhiata, mi sorride nervoso non so se per il biglietto o per la paura di essere interrogato, poi la tua voce: «Savi».
Antonella si alza. Alta e massiccia si avvicina a te ostentando il suo seno gigantesco.
Credo che tu le piaccia, visto il modo in cui ti sorride. Stronza, glielo farei passare a suon di sberle quel sorrisetto ebete. Lei non avrebbe problemi a infilarti una mano nei pantaloni, dicono che l’anno scorso si sia fatta riprendere mentre faceva un bocchino a Samuele della quarta C. Io quel video non l’ho mai visto, ma conoscendola non mi stupirei se fosse vero. Se si azzarda a fare la scema con te le strappo le palle degli occhi.
Devo ammettere che è preparata, a ogni domanda risponde senza esitazione, sicura, sciolta. Ha l’aria tranquilla di chi sa di cosa parla. E la cosa ti piace, ti lusinga, la guardi soddisfatto, perfino ammirato. Avresti dovuto interrogare me, avresti dovuto guardare me con occhi ammirati, pieni di approvazione.
«Va bene così. Molto bene, Antonella» dici improvvisamente, interrompendola. «Puoi andare».
Poi, rivolgendoti alla classe: «Ragazzi, cercate di presentarvi preparati, ho intenzione di interrogare a ogni lezione almeno uno di voi».
«Ma non è giusto!» Sbotta Marco alzando la testa dal banco in cui finora aveva sonnecchiato beatamente.
«Uhm… già… magari inizierò proprio da te».
«Ma prof!!»
«Su, ora basta. Aprite il libro a pagina 119».
La classe esegue svogliata e tu inizi a spiegare la storia dei Medici. Ti immagino un bellissimo Lorenzo, sposato a Clarice ma innamorato pazzo di me. Io non sono che la dama di compagnia di tua moglie. Non posso nemmeno sognare di essere ufficialmente tua, eppure sono l’unica donna che ami veramente. La notte ci incontriamo segretamente e ci amiamo protetti dalla discrezione della servitù. Lei lo sa. Sa bene che ami me, ma il vostro non è che un matrimonio di convenienza, e ad entrambi torna utile tacere facendo buon viso a cattivo gioco. Eppure ha tentato più volte di allontanarmi da corte, ma tu mi hai sempre ricondotta indietro, sfidando il decoro e il potere di tua moglie. È il nostro destino che ci ha ricondotto qui, seguendo un filo invisibile che ha resistito ai secoli e alla storia. E ora mi sembra di riconoscerti, antico amore contrastato e poi perduto, incapace di morire anche di fronte alla morte stessa. Un raggio di sole mi sfiora la tempia, è la tua mano calda che mi accarezza dolcemente. Socchiudo gli occhi e indugio sull’emozione di immaginarti mio mentre le tue parole non sono che echi lontani che narrano di vecchie storie che in qualche modo ci riguardano.
È così bello stare qui che quasi mi scappa un urlo di spavento quando suona la campanella. Chiudi il libro, ci istruisci sui compiti da fare per la prossima volta, e stai per chiudere il registro quando la tua mano si blocca, come se la tua attenzione fosse stata catturata da qualcosa. Ho un tuffo al cuore, lo stomaco mi si chiude, sento di dover correre al bagno quando mi rendo conto che hai visto il biglietto di Umberto. Per un attimo le gambe mi cedono.
Gli altri escono uno ad uno infilando la porta. Io mi attardo incapace di reagire all’orrore di essere stata scoperta. Ti fai scivolare il biglietto tra le mani, alzi lo sguardo verso di me, mi fai un cenno con la mano. Mi avvicino percorrendo una distanza infinita.
«Credo che questo sia tuo» esordisci porgendomi il foglio
Non riesco a dire niente, così mi limito ad allungare la mano verso la tua. Ci sfioriamo, le tue dita indugiano sulle mie un attimo solo e poi si ritirano. Mi guardi assorto: «Devi avere molti corteggiatori…»
«No… no!»
«Eppure credo di sì» dici tenendo gli occhi fissi su di me. Poi il tuo sguardo diventa strano, duro, e aggiungi: «Su, vai ora».
«Grazie professore».
Quando esco dalla classe mi sento confusa; mi chiedo cosa tu abbia voluto dire con quella frase, non capisco se hai voluto farmi un complimento o se era un rimprovero. Una parte di me avrebbe voglia di saltare di gioia per quelle attenzioni inaspettate, l’altra invece si metterebbe a piangere.

Finita la scuola non vedo l’ora di andare dritta a casa. Il mio unico desiderio è di infilarmi nel letto ad analizzare quello che è successo questa mattina.
Sto raggiungendo il motorino quando una voce alle mie spalle mi ricorda che ho un altro impegno: «A che ora ci vediamo?» Chiede infatti Umberto.
«Oh, si! Ma non puoi parlarmi ora?»
«No» risponde asciutto.
«Uhm… va bene… facciamo alle tre e mezzo?»
«Dove?» Incalza.
«Uhm… non so… ai giardini?» Propongo.
«Ok, allora ci vediamo lì!»
«Ok».
«Allora a dopo».
«Sì, ok».
«Ciao».
«Ciao».
Mi sento sempre più confusa. Non ho nessuna voglia di incontrare Umberto oggi pomeriggio, anche se devo ammettere che è carino, oggi avrei solo voglia di starmene per conto mio. Mentre vado verso casa comincio a pensare che forse Umberto vuole chiedermi di stare con lui. Non so se è una bella notizia. Certo è carino, ma a me ormai piaci solo tu. Però magari mi sto illudendo e lui vuole chiedermi di qualche mia amica, tipo che so… Cristina… magari vuole che lo aiuti a mettersi con lei. Sarebbe terribile. Non devo illudermi, mi è già successo e non voglio che accada di nuovo. In prima media ero persa di un mio compagno di classe. Un giorno mi ha chiesto di fare una passeggiata con lui perché aveva bisogno di parlarmi. Non stavo più nella pelle per la felicità, ero sicura che finalmente, dopo un anno che gli sbavavo dietro, volesse chiedermi di diventare la sua ragazza. Invece quel deficiente mi ha chiesto se potevo dire alla mia amica Luisa se voleva mettersi con lui. È stato il momento peggiore della mia vita. Non sapevo se piangere, andarmene, magari urlare «Mavvaffanculo!!». Invece me ne sono rimasta lì, cercando di fare l’indifferente mentre mi pareva di sprofondare.
Però sarebbe bello… una dichiarazione d’amore proprio per me! Solo per me! Tutto sommato potrebbe essere una buona cosa anche per noi due… Umberto potrebbe insegnarmi molte cose, lui di ragazze ne ha avute tante, io invece ho solo baciato un paio di ragazzi, di cui uno nemmeno con la lingua.
Per fortuna oggi mamma non è a casa. Mangio al volo la roba che mi ha lasciato nel microonde e poi decido di dedicarmi al look per il pomeriggio. Vorrei chiamare Cristina e chiederle qualche consiglio, ma ultimamente la sopporto poco, non mi sento capita e in fondo, a dirla proprio tutta, mi dà sui nervi. Forse una volta non ci facevo caso, ma ultimamente mi sembra che debba sempre stare al centro dell’attenzione, come se tutti i maschi dovessero sbavare dietro a lei e non fosse proprio possibile per qualcuno di loro interessarsi invece a me.
Provo un mare di vestiti e di abbinamenti, sconsolata mi rendo conto di non avere niente di veramente adatto. Alla fine decido per un maglioncino leggero, la mini di jeans e gli stivali. Tutto sommato l’effetto non è malvagio, così posso dedicarmi al trucco: tampono il fondotinta con una spugnetta, marco il contorno degli occhi con l’eyeliner per far risaltare l’azzurro dell’iride, stendo un velo di phard sugli zigomi per farli sembrare più alti di quanto non siano in realtà e infine metto un po’ di lucidalabbra alla fragola sulle labbra. Mi sorrido allo specchio. Sì, decisamente mi sento bella.
Esco di casa e prendo il motorino per correre al parco: se non mi spiccio rischio di arrivare in ritardo. Poi un pensiero. Decelero, faccio un sospiro e mi impongo di andare più piano: certamente la tecnica migliore è quella di tirarmela un po’ e farlo aspettare.
Mi godo il sole e le strade che mi corrono intorno. I filari di alberi, i passanti, i rumori della città. Sono così emozionata che mi pare che la primavera mi esploda nel cuore.
Quando arrivo ai giardini, Umberto è lì che mi aspetta. Ha un’aria buffa, mi sembra emozionato, il che mi fa sentire più sicura di me e gli sorrido cercando di apparire molto bella e irraggiungibile.
«Ciao!»
«Ciao! Come stai?» Mi chiede.
«Bene, grazie!»
Sistemo il motorino e mi volto verso di lui: «Allora?» Gli chiedo accorgendomi di averlo appena messo sulle spine.
«Ehm… non so… ti va di fare un giro?»
«Ok, va bene!»
Ci addentriamo fianco a fianco nel parco. A ogni passo lo sento un po’ più vicino.
«Cosa volevi dirmi?» Chiedo interrompendo il silenzio.
«Uhm… ti va se ci sediamo?»
«Ok…»
«Là c’è una panchina» dice indicando una panchina seminascosta tra gli alberi.
Finalmente ci sediamo. Sono nervosa. Non sono più tanto sicura che questo incontro sia per chiedermi di essere la sua ragazza, e se mi chiedesse di qualche mia amica credo che non lo sopporterei.
Umberto guarda lontano evitando i miei occhi. Rimane in silenzio a lungo e io non sono capace di dire nulla, così ascolto i rumori del parco e il suo respiro.
«Ti ho chiesto di venire qua perché ho bisogno di chiederti una cosa… Prima stavo con Sara, ma poi mi sono accorto che mi piacevi tu, così l’ho lasciata. Insomma… hai capito…» Il cuore mi balza in gola e mi soffoca ogni parola. Umberto si accorge del mio silenzio e tutto d’un fiato aggiunge: «Ti andrebbe di diventare la mia ragazza?»
Ci siamo. Me l’ha chiesto. È una cosa incredibile, davvero bellissima, eppure non riesco a non pensare a te, al fatto che se gli dico di sì ti tradisco. Perché è sempre tutto così complicato? Non so cosa sia giusto fare, non riesco a parlare, ci sono troppi pensieri, troppi dubbi. Eppure la testa accenna un sì, come se fosse autonoma amore mio, come se sapesse cosa è giusto indipendentemente dai miei pensieri. Così annuisco e Umberto mi sorride, mi prende una mano e la accarezza dolcemente. Avvicina la sua bocca alla mia, sento il suo alito caldo mentre schiudo le labbra e le nostre lingue si incontrano. Mi bacia a lungo, tanto che mi sembra di soffocare. Però devo ammettere che mi piace; è dolce e passionale allo stesso tempo e sembra non avere problemi di respiro, al contrario di me.
Forse potrei avervi entrambi, forse una cosa non esclude l’altra. Del resto non è necessario che sappiate l’uno dell’altro, e lui potrebbe essere una buona copertura del nostro amore agli occhi della gente.
«Hai già avuto altri ragazzi?» Mi chiede staccandosi da me.
«Be’, sì, un paio… ma ero al mare…»
Annuisce: «Baci bene».
«Grazie, anche tu».
Mi bacia di nuovo, questa volta con più passione, la sua mano accarezza il mio seno e ho un sussulto.
«Non ti va?» Mi chiede spostando la mano.
«No… no…» Rispondo senza esserne tanto sicura.
Umberto ricomincia a palparmi, questa volta cercando il contatto con il mio corpo sotto la maglietta. Mi dà una strana sensazione che non so definire, ma non mi dispiace, anche se un po’ mi vergogno.
Il tempo sembra dilatarsi mentre allo stesso tempo si accorcia, quasi scomparendo, come se si accartocciasse su se stesso e implodesse. Un attimo fa sono arrivata qui ed è già troppo tardi.
Ho la bocca umida e le guance in fiamme ma vorrei che Umberto non smettesse mai di baciarmi.
Come sei lontano, amore mio. Come vorrei che un giorno su questa panca ci fossimo io e te!
Eppure, lo confesso, sono felice anche così.
Mi stacco da lui e gli dico che devo andare, mia madre mi starà già aspettando e non voglio che si arrabbi. Non oggi, non in una giornata così straordinaria.
Mi accompagna al motorino e mi abbraccia. Mentre mi allontano, dallo specchietto mi accorgo che mi segue con lo sguardo.

È bello avere un ragazzo! Perfino Cristina mi guarda con occhi diversi! Questa mattina durante l’intervallo è venuta a chiedermi un consiglio su Marco, il tipo che le piace. Fino a poco tempo fa non l’avrebbe mai fatto, ma adesso che sto con Umberto è tutto cambiato, mi vede come una donna. Mi ha chiesto se l’abbiamo già fatto e io ho tergiversato, facendo la vaga. Non che voglia per forza farle credere di averlo fatto, ma mi piace il nuovo modo in cui mi considera e non vorrei che smettesse se le dicessi che ancora sono vergine.
La verità è che non sono sicura di non voler andare a letto con lui. A me piacerebbe che il primo fossi tu, ma mi rendo conto che se continuo ad aspettarti rischio di diventare vecchia. Vecchia e pure vergine. Tipico, proprio da me.
Tra poco ci sarà la tua lezione e non vedo l’ora! Ho notato che osservi me e Umberto con una certa attenzione da quando hai scoperto il suo biglietto. Mi chiedo se tu sia geloso. Io cerco di fare l’indifferente, ma non vorrei che tu pensassi di non piacermi, perché io invece mollerei Umberto all’istante se tu me lo chiedessi.
Anche Umberto è geloso di te. Credo che sospetti qualcosa per via del fatto che durante le tue lezioni evito sempre di guardarlo. E poi perché è successa una cosa strana… Ma di te non parlo mai. Sei il mio segreto più bello.
Ieri pomeriggio sono stata a casa sua. Siamo andati nella sua camera con la scusa di fare i compiti e appena ci siamo chiusi la porta alle spalle ha cominciato a baciarmi. Mi ha fatto stendere sul letto e mi ha tolto a maglietta. Mentre mi toccava e mi baciava il petto io non facevo che immaginare che le sue mani e la sua bocca fossero le tue.
Era dolce e passionale assieme. Davvero perfetto. Poi la sua mano è scesa fin dentro i jeans e ha iniziato a masturbarmi. Non so cosa ho provato, un po’ mi faceva male, però mi piaceva, avrei voluto che non si fermasse mai. Invece si è fermato e mi ha chiesto se mi andava di prenderglielo in mano. Ho annuito perché mi sembrava la cosa giusta da fare, ma ero terrorizzata. Gli ho slacciato i pantaloni e gliel’ho tirato fuori iniziando a toccarlo. A un certo punto mi ha detto di prenderlo in bocca, e mentre lo facevo ha cominciato a guidarmi. Non è stato difficile, e credo gli sia piaciuto, infatti ha avuto un orgasmo. Eravamo entrambi sfiniti, così ci siamo stesi uno accanto all’altra abbracciandoci forte. Era bello rimanere così vicini a coccolarci, ma proprio mentre stavo pensando a quanto sarebbe stato bello rimanere così con te, Umberto mi ha chiesto cosa pensassi «del prof di storia». Io ho fatto l’indifferente anche se il cuore mi è balzato in gola e gli ho risposto che in fondo tu sei meglio della Fanton, che tra l’altro ho sempre odiato e sempre odierò.
«Lo trovi bello?» Ha insistito.
«No! È un vecchio!»
«Però lui ti guarda in modo strano…»
«Che vuoi dire?»
«Dai, non dirmi che non te ne sei accorta!»
«No!»
«Io credo che tu gli piaccia».
«Figurati!» Ho detto gongolando.
«Se ci provasse con te me lo diresti?»
«Be’… sì…» Ho mentito. «Ma tanto! Che differenza fa?»
«Se sapessi che ci prova con te gli spaccherei la faccia».
Io ho sorriso sentendomi protetta; una bella sensazione.
«Mi pare che non ti sia tanto simpatico il prof. Eh?»
«Uhm… non è questo… mi sembra viscido» ha detto con un adorabile broncio.
«Vieni qui…» Gli ho preso il viso tra le mani e l’ho baciato. Abbiamo ricominciato a toccarci, con più passione, più amore, e saremmo arrivati a farlo se sua madre non l’avesse chiamato per dirci che era tardi e che stava per mettere in tavola la cena.
Quando mi sono accorta di che ora era sono scattata in piedi e sono scappata via più veloce della luce.
L’amore strappa il tempo. Con te voglio avere tutto il tempo del mondo.

Quando entri hai in mano i nostri compiti. Hai un’aria corrucciata che ti rende irresistibile. Guardo Umberto e poi di nuovo te e mi rendo conto che nonostante tutto tra di voi non c’è paragone. In fondo mi spiace; voglio bene a Umberto, mi piace stare con lui, ma tu sei l’altra metà del mio cielo.
Cristina si sta limando le unghie e Antonella ti sorride ogni volta che può. Guardo tutto ed è come se vedessi tutto per la prima volta. È una bella sensazione, mi fa sentire come uno dei supereroi dei film. Mi piacerebbe essere cat woman. Mi accorgo che mi stai guardando e cerco di rimanere impassibile, sarà che mi sento più donna, ma ho voglia di giocare un po’ con te, non mi va che tu possa pensare che sono la classica ragazzina che ti sbava dietro.
Dici che i compiti li consegnerai a fine lezione. Sei arrabbiato perché siamo andati male. Mentre parli guardi Umberto che per tutta risposta ti fissa con un’aria di sfida che in fondo mi lusinga perché so che per lui non è solo una questione di voti.
«Non sei d’accordo con me, Graziani?» Gli chiedi alla fine seccato dal suo sguardo impertinente.
«Uh? Come?»
«Non pensi sia scandaloso che dopo due mesi di lezione la maggior parte della classe abbia preso l’insufficienza?»
«Forse non dovrebbe fare i compiti a sorpresa, professore».
«È vero!» Salta su Cristina ancora con la limetta in mano.
«Ha ragione, prof». Interviene Luca. «Non può pretendere che andiamo bene in un compito a tradimento».
«A tradimento?! Vi ricordo che il vostro dovere è di partecipare attivamente alle lezioni! E partecipare attivamente significa studiare».
Caterina, una nanerottola anonima con i capelli grigio topo e l’incarnato giallastro, dal suo banco mugugna un disperato «Non è giusto… non è giusto…» Luca si illumina e indicandola grida: «Ha parlato!! Miracolo!! Ha parlato!!»
Caterina, timida com’è, si zittisce subito, ma ormai è fatta. La classe esplode in una risata e volano battute.
Io guardo tutto e vedo tutto. Rimango al mio posto e mi limito a sorridere. Cristina mi osserva con aria chiaramente ammirata. Mi sento fighissima.
Ormai hai perso il controllo e cominci ad urlare per far ricomporre la classe. Non ti ho mai visto così furioso, mi fai quasi paura.
Luca smette di ridere e la bocca gli è rimasta aperta. Caterina è rossa come un peperone. Antonella abbassa lo sguardo cercando invisibili granelli di polvere sul banco. Il resto della classe, compresa Cristina, si guarda intorno con aria colpevole. Solo Umberto non mostra segni di cedimento e continua a fissarti impassibile.
Ritorni alla cattedra e aprendo il libro di storia inizi a spiegare. Solo cinque minuti prima del suono della campanella distribuisci i compiti; nel mio c’è un sette e mentre me lo consegni mi sorridi.
Non vorrei, ma il cuore, come se avesse una volontà tutta sua, inizia a battermi forte. Mentre afferro il foglio protocollo cerco di nascondere invano il tremito delle mani. Vorrei tanto non vergognarmi, ma ogni volta che ci sei tu il mio corpo sembra diventare completamente autonomo e disobbediente, così di colpo arrossisco o tremo, o divento rigida come un baccalà. Forse l’amore è proprio questo; un vortice che centrifuga il cuore e fa impazzire il corpo.
La campanella mi coglie di sorpresa. Sento ancora il tuo profumo mentre ti vedo allontanare.
Sto per andarmene quando mi chiami: «Susi! Puoi venire un momento?»
Mi sento come paralizzata, ma con uno sforzo enorme riesco a raggiungere la cattedra.
«Susi… volevo dirti che sono fiero di te. Hai fatto un bel compito».
«Grazie».
«Ti piace la storia, vero?»
Stai scherzando? A me piaci tu! Solo tu e per sempre tu!
«Sì».
«Mi fa felice» dici sorridendo dolce e allungando una mano verso il mio viso. «Magari un giorno all’università sceglierai proprio la facoltà di storia…» La tua mano mi sfiora la guancia, languida, appena percettibile. «Chissà…» I tuoi occhi non si staccano dai miei e io non so cosa dire né cosa fare. Ho i brividi al cuoio capelluto e l’unica cosa di cui sono sicura è che vorrei che questo momento non finisse mai e la tua mano non smettesse di sfiorarmi la faccia. Socchiudo gli occhi e chino il volto verso le tue dita come a cercare un contatto maggiore.
«Ora devi andare».
Riapro gli occhi e annuisco, il tuo sguardo è così dolce e dolente che il cuore mi si stringe.
«Arrivederci» dico pensando che invece vorrei solo stare lì con te e non doverti salutare.
«Ciao» dici staccando la mano.

All’uscita Umberto mi mette una braccio sulla spalla e mi accompagna al motorino.
«Cosa voleva quello là?»
«Niente».
«Come niente?»
«Voleva farmi i complimenti per il compito in classe».
«È proprio un viscido».
«Non è vero».
«Sì invece».
Alzo le spalle e faccio per prendere il casco ma lui mi blocca. «Hai fretta di andartene?»
«No».
Si china su di me e mi bacia, solo che questa volta non sento niente perché sono pervasa dalla sensazione della tua mano sulla faccia e Umberto se ne accorge.
«Che hai?»
«Niente!»
«Ti ha fatto qualcosa?»
«No! Cosa ti viene in mente?»
«E allora cos’hai?»
«Ti dico che non ho niente!» Rispondo sulla difensiva.
«Ok. Ci vediamo oggi?»
«Oggi non posso».
«Mmmh… ma sei proprio sicura che non hai niente?»
«Sì, te l’ho detto» e mentre rispondo ti vedo uscire dalla scuola e i nostri sguardi si incrociano.
«Ok, ora devo andare» dico sbrigativa, sentendomi in colpa per essermi fatta beccare con Umberto.
«Ehi! Non mi dai neanche un bacio?» Chiede Umberto afferrandomi per un braccio e portandomi a sé.
Io non vorrei baciarlo, ma è il mio ragazzo e non posso dirgli di no, tanto meno con te intorno perché chissà quali strane idee gli verrebbero in testa. Così lascio che mi baci, ma mentre lo fa decido di aprire gli occhi e guardarti. Non so perché lo faccio, forse per immaginare meglio che ci sia tu al posto suo, forse per provocarti, ma quando li apro mi accorgo che mi stai fissando e una scarica elettrica mi attraversa il corpo. Ci guardiamo a lungo, per tutta la durata del bacio, e quando mi stacco da lui mi accorgo di avere le mutande bagnate. Salgo in fretta sul motorino e filo via, perché se rimanessi penso che mi verrebbe un infarto.

È pomeriggio inoltrato quando ricevo la telefonata di Umberto. Sono talmente concentrata su di te che non ho nessuna voglia di sentirlo, ma rispondo ugualmente: «Ciao».
«Ciao, come va?»
«Bene».
«Sei sicura? Questa mattina eri strana».
«No, non è vero».
«Sì invece. Ho voglia di vederti, puoi uscire?»
«No, te l’ho detto, oggi non posso».
«Perché no?»
Sbuffo infastidita e lui se ne accorge.
«Ti sei stufata di me?»
«È che a volte mi sembri un bambino».
«Perché ho voglia di vedere la mia ragazza?»
Alzo gli occhi al cielo non sapendo bene come rispondere, poi dico: «No, è che se non posso non posso, non dipende da me».
«Domani almeno pensi che potremo vederci?»
«Sì, credo di sì. Mia madre non dovrebbe essere a casa…»
«Allora posso venire da te?»
«Be’… sì, credo sì…»
«Potremo studiare un po’ di anatomia allora» dice ridendo. Io mi sento avvampare e sorrido per coprire l’imbarazzo.
«Senti, ora devo mettere giù, ci vediamo domani a scuola».
«Ok, buona serata».
«Anche a te».
Riattacco con il desiderio di tornare alle mie fantasie su di te, ma l’ultima frase di Umberto continua a tornarmi in testa e a prendere il sopravvento. Mi sento sciocca, è stupido da parte mia sentirmi in imbarazzo per quello che ha detto, eppure non riesco a farne a meno. Soprattutto mi vergogno nei tuoi confronti: cosa penseresti di me se mi vedessi ora? Sicuramente che sono una stupida bambina, ecco quello che penseresti.
Qualche volta mi chiedo cosa ne sarebbe stato di noi se tu non fossi venuto nella mia scuola. Ci saremmo incontrati lo stesso? E tu mi avresti notata ugualmente o mi avresti scartata perché troppo giovane?
Cristina non mi capisce, crede che io ami Umberto. Mi manca sai, un’amica con la quale poter parlare di te. Lei è così distante… a lei piacciono solo quelli della nostra età, pensa che tu sia un vecchio. Carino, certo, ma troppo anziano.
Chissà cosa stai facendo ora…
Magari sei a casa come me e mi stai pensando…
Amore mio, vorrei affacciarmi alla finestra e urlare alla città che io sono solo tua.

Questa mattina a scuola non c’eri. Non mi piace venirci se tu non ci sei, tutto appare noioso al limite del sopportabile, in più la prof di scienze mi ha ripreso; dice che ultimamente sono svogliata e se non cambio atteggiamento sarà costretta a parlarne ai miei.
Che palle, ti giuro che le avrei sbattuto la faccia sul muro.
Umberto verrà a trovarmi più tardi, siamo d’accordo che gli farò uno squillo non appena mia madre sarà uscita di casa.
Mi chiedo come si svolga la tua vita al di fuori della scuola. Sicuramente avrai degli amici e un sacco di ragazze che ti girano intorno. Ogni volta che ci penso muoio di gelosia e mi sembra di impazzire ad essere esclusa dalla tua vita. Ho pensato anche di spiarti, ma tra Umberto e mia madre non mi rimane tanto tempo da dedicare all’investigazione, per cui temo di dovermi rassegnare. Almeno per il momento.
Mi madre sta uscendo, tutto sommato sono contenta che Umberto passi a trovarmi, so che può sembrare un atteggiamento da troia, ma fare sesso con lui non mi dispiace. Io so che non lo amo e che con te sarebbe mille volte meglio, ma ogni volta che mi bacia e mi tocca mi fa sentire veramente bene.
Ecco, mia madre dall’entrata mi sta urlando un saluto, sento la porta che si apre e si richiude alle sue spalle. Ho i brividi al basso ventre mentre compongo il numero di Umberto.
Dovrebbe arrivare tra poco, meglio se mi vado a dare una sistemata.
Ho comprato un deodorante intimo, perché anche se mi lavo ho il terrore di puzzare. A scuola ci sono un sacco di racconti che girano su certe ragazze che puzzano proprio là sotto. Se Umberto dovesse mettere in giro una voce del genere su di me penso che ne morirei, così controllo anche le mutande per vedere che non siano macchiate e per sicurezza alla fine decido comunque di cambiarle.
Una volta ho sentito un ragazzo che parlava male di una con cui era stato perché aveva le mutande sporche.
Continuo a pensare alla frase che Umberto mi ha detto ieri al telefono. Mi chiedo se oggi voglia fare l’amore con me. So che con la sua ex ragazza lo facevano, ma io non sono sicura di sentirmela, anche se ammetto che il solo pensiero mi eccita da morire.
Il campanello. Questo è lui. Corro ad aprire e rimango sulla porta: mi piace ascoltare i suoi passi sulle scale, è come se il tempo venisse scandito solo da quel suono. Quando lo vedo comparire gli sorrido con aria complice: «Ciao».
«Ciao» dice lui stampandomi un bacio sulle labbra. «Quanto tempo sta fuori tua madre?»
«Ha detto che torna verso le sette».
«Avevo una gran voglia di vederti…» Dice stringendomi a sé per farmi sentire che mi desidera.
«Anch’io» rispondo cercando di essere disinvolta.
«È la prima volta che vengo a casa tua» osserva lasciandomi andare. «Dov’è la tua camera?»
«Vieni, è di qua...»
Gli faccio strada e lui ne approfitta per palparmi il sedere. Oggi sembra proprio averne una gran voglia, ho paura che si aspetti di fare l’amore e io non ho ancora deciso se mi va oppure no. Entrato in camera mia comincia a curiosare, toccando tutto quello che gli va. Non so se gradisco questa invasione, però lui è il mio ragazzo ed è normale che senta questa stanza anche un po’ sua, così non dico niente e mi metto a sedere sul letto lasciandolo fare.
«È bella la tua camera» commenta alla fine.
«Grazie».
Si avvicina a me e mi bacia con passione, poi la sua lingua scende sul mio collo facendomi venire la pelle d’oca. Io rido, così lui si ferma: «Non ti piace?»
«No, no, anzi…»
«E allora perché ridi?»
«Perché mi piace» gli rispondo sentendomi veramente stupida.
Umberto ricomincia e io mi sento morire di piacere; sono talmente presa che quasi non mi accorgo che mi sta spogliando. Una parte di me vorrebbe fermarlo, ma penso che prima o poi deve accadere per cui tanto vale lasciare che prenda quello che vuole.
«Voglio leccarti» dice con una voce che quasi non riconosco. Mi guarda negli occhi e io annuisco, poi mentre scende li chiudo perché mi pare che a non guardare ci si riesca a vergognare di meno.
Non mi aveva mai baciata là sotto prima di oggi, lentamente cerco di lasciarmi andare, e mentre lo faccio, come se la mia mente ti appartenesse, inizio a sognare che tu sia qui con me. Il piacere centuplica e si espande mentre immagino che la sua bocca sia la tua bocca, le sue attenzioni le tue.
Quasi lo odio quando si interrompe e mi chiede di prenderglielo in bocca; io eseguo ma ormai la magia si è spezzata, mi aggrappo disperatamente all’idea di te, ma la sua pelle, il suo odore, il suo ansimare, mi riportano continuamente alla realtà.
«Ti va se lo facciamo?» mi chiede.
Non so cosa dirgli perché l’unica cosa che mi andrebbe davvero in questo momento è quella di rimanere sola a pensare a te, ma ormai sono in ballo e ho paura che Umberto si arrabbierebbe se gli dicessi di no, così gli dico che va bene e aspetto che mi penetri.
Lui prova ad entrare ma non ce la fa: «Sei troppo rigida» mi dice, «così non entra, e poi ho paura di farti male».
Cerco di rilassarmi ma non è facile, lo sento scivolare dentro e mi fa male, anche se non quanto mi aspettavo.
«Come va?» Mi chiede.
«Ok» gli rispondo pensando che è strano non sentire tanto dolore, Cristina mi ha raccontato che lei ha urlato e poi le è uscito un casino di sangue. Mi chiedo cosa sia successo alla mia verginità: se faccio l’amore ma non si rompe niente sono ancora vergine oppure no?
Umberto si muove sempre più frenetico sopra di me, poi ad un certo punto si ferma e si infila un preservativo. È a quel punto che vedo il sangue sul letto, non è molto, solo una macchiolina che già sfuma sul marrone, ma guardarla mi fa sentire improvvisamente una vera donna. In fondo ne valeva la pena, così guardo Umberto, e aprendo le gambe gli sorrido ammiccante.

Questa mattina è bello svegliarsi: oggi inizia la mia nuova vita.
Mia madre dice che quando una ragazza fa l’amore per la prima volta, dopo, glielo si legge negli occhi. Mi chiedo se tu ti accorgerai che sono diventata una donna… se sentirai che l’ho fatto per te.
Ho voglia di essere carina, per cui indosso la minigonna e una maglietta attillata. Mi trucco in modo leggero e sono pronta.
Al cancello della scuola trovo Umberto ad aspettarmi, mi bacia sulle labbra e mi dà il buongiorno.
«Sei molto bella questa mattina» dice.
Lo ringrazio sapendo che il suo è un apprezzamento sincero: oggi sono davvero bellissima.
Mi prende sottobraccio ed entriamo. C’è una nuova complicità tra noi, la vedo nel suo sguardo e nei nostri gesti. Avrei voglia di rifare l’amore, di sentirmi di nuovo appartenere a qualcuno, così glielo dico in un orecchio e lui arrossisce. Non so cosa mi aspettassi, ma speravo avrebbe avuto un’altra reazione, invece ora mi sembra proprio un bambino. Mi viene da pensare a quanto sia fragile l’amore se basta un gesto sbagliato ad oscurarlo, eppure tutto il desiderio che avevo per Umberto in un secondo è svanito e non ha lasciato traccia. Ora vorrei staccarmi da lui e proseguire da sola, ma onde evitare domande e discussioni, rimango al suo fianco e fingo che non sia accaduto niente.
La verità è che non vedo l’ora di rivederti, mi sei mancato da morire e da ieri pomeriggio non faccio che domandarmi come sarebbe fare l’amore con te.
Vederti è l’esperienza più straordinaria del mondo, potrei rimanere a guardarti per sempre e sarei felice. Oggi poi, sei più bello del solito. Ti guardo negli occhi con una fierezza che non pensavo di avere, ma tu sostieni il mio sguardo e devo sforzarmi di mantenermi salda sulle gambe. Chissà se hai capito quello che ho fatto, se sei geloso, se avresti voluto esserci tu. Per tutta la durata della lezione non fai che cercarmi, anche Umberto se ne accorge e continuamente lo vedo fissarci entrambi accigliandosi ogni minuto di più. La sua gelosia comincia ad infastidirmi, mi sembra che cerchi continuamente di mettersi in mezzo. Pur di distrarti da me ti fa perfino delle domande, lui, che di storia non gliene è mai fregato niente.
Sarebbe bello che il tempo si dilatasse e quest’ora diventasse infinita. Vorrei avere una bacchetta magica per fermare il mondo in questo istante; farei scomparire tutti e lascerei solo noi due.
Vieni qui amore, vieni da me. Il mio corpo ti appartiene e ti chiama, il mio cuore è solo l’estensione del tuo.
Sono miliardi i segnali, tu lo sai, hai capito benissimo, e ora mi vuoi.

Quando la lezione finisce Umberto mi afferra per un braccio e mi porta fuori dall’aula. Io sono ancora stordita dalla magia che solo noi sappiamo di aver condiviso e lo seguo docilmente. «Hai visto?» Mi chiede.
«Cosa?»
«Come cosa! Il modo in cui continuava a fissarti!»
«Non saprei… forse, ma non credo…»
«Senti, quello è un cazzo di maniaco, te lo dico io».
Cerco di sorridere anche se non mi piace sentirti chiamare maniaco: «Sei geloso?»
«Sono preoccupato per te. Quello è capace di saltarti addosso».
«Ma non dire stupidaggini!»
«Parlo sul serio, aveva uno sguardo…» Si interrompe cercando le parole: «uno sguardo che non mi piaceva, ecco».
«Guarda che esageri».
«Promettimi di dirmelo se ti dice qualcosa di strano, ok?»
«Va bene, ma non credo che succederà».
«Ti guardava proprio come un maniaco…»
«Non è vero».
«Dopo ti accompagno a casa».
«No, prendo l’autobus con Cristina».
«Uhm… va be’…»
Faccio per rientrare in classe ma mi blocca: «Oggi ci vediamo?»
«Non ho casa libera».
«Nemmeno io, ma possiamo andare ai giardini».
«Ai giardini?» Chiedo pensando di aver capito male.
«Sì, non ti va?»
«Non so…»
«Non dobbiamo mica farlo per forza!» Dice lui.
«Ok… ci vediamo là allora».

Nel pomeriggio vado al parco in motorino. Mi sono levata la minigonna e ho messo un paio di jeans, così almeno mia madre non ha fatto storie.
Umberto arriva subito dopo di me. Ci abbracciamo e camminiamo parlando del più e del meno, fortunatamente sembra non pensare più a te, io invece non riesco a toglierti dalla testa, dopo pranzo non ho resistito e mi sono toccata pensando a te.
Umberto mi guida verso un lato nascosto dei giardini, lo seguo pensando che probabilmente è qua che ha portato tutte le sue ex ragazze. Stranamente questo pensiero mi eccita, così mi stringo ancora più forte a lui. Odora di bucato e di cose buone, mai come in questo momento ho avuto voglia di lui, lo bacio mettendoci tutta la passione di cui sono capace, poi faccio scivolare una mano sul suo petto e la faccio scendere sempre più giù. Umberto ride lusingato, poi mi blocca: «Aspetta» dice tirando fuori dallo zainetto un plaid che stende sull’erba. «Così staremo più comodi».
Ci stendiamo e lui baciandomi mi slaccia i jeans, sento la sua mano che mi sfiora e mi vengono i brividi. Facciamo l’amore abbracciandoci stretti, lui si muove con dolcezza ed è talmente straordinario perdersi in lui che quasi mi scordo di te.
Quando si stacca ci rivestiamo in fretta perché sta scendendo la sera e comincia a rinfrescare. Rimaniamo stesi uno accanto all’altra e cominciamo a ridere e scherzare come due scemi. Credo sia esattamente in questo momento che mi accorgo che non mi manchi affatto. C’è una tale perfezione in questa serata che non la cambierei per niente al mondo. È una considerazione che mi turba perché per la prima volta da quando ti conosco la mia vita non ruota attorno a te. Mi giro verso Umberto e lo bacio: «Però stiamo bene insieme, noi due…» Dico forse più a me stessa che a lui.
«Sì, molto più di quanto avrei immaginato».
Gli sorrido grata: «Chissà, magari…»
«Magari cosa?»
«Magari… dopotutto, forse, non finirà».
«Perché deve finire?»
«Non so, dicevo così per dire».
Umberto mi guarda come a cercare di frugarmi dentro in cerca di risposte, poi scrolla le spalle e mi sorride: «Certo sei strana…»
«Ti piace farlo con me?» Chiedo all’improvviso.
«Sì, certo!»
«Ti secca che sia inesperta?»
«Ma cosa dici!»
Rimaniamo così, senza parlare, senza guardarci in faccia. Io cerco disperatamente di captare tutto, di sentire ogni cosa e di stamparmela nella memoria perché un pomeriggio perfetto forse non l’avevo mai vissuto, poi Umberto interrompe il silenzio: «A me non secca che tu sia inesperta. Farlo con te è la cosa più bella del mondo». Lo dice continuando ad evitare i miei occhi. Io mi volto, e guardandolo mi sento sciogliere il ventre e il cuore riempirsi d’amore. Mi stringo a lui più forte che posso: «Anche per me è la stessa cosa». Mentre lo dico mi accorgo di pensarlo veramente, tu non sei mai stato tanto lontano amore mio, mai avrei creduto di poterti cancellare così, eppure ora sono qui con Umberto e sento di essere felice.
Ci alziamo mentre il tramonto lentamente scende. Camminiamo abbracciati fino ai nostri motorini, alla fine ci salutiamo con un lungo bacio.
Man mano che mi allontano anche Umberto sfuma, è come se la sua immagine fosse così fragile da aver bisogno di essere continuamente alimentata. Mi rendo conto di essere sempre più confusa mentre il mio cuore non fa che danzare senza sosta tra voi due. Forse sono solo stanca, questa è stata una giornata piena di emozioni, penso che una bella dormita non potrà che farmi bene. Vorrei un sonno senza sogni, uno di quelli in cui tutto scompare e si ha la sensazione di essere finiti in un enorme buco nero.

Quando mi sono svegliata questa mattina stavo quasi bene. Sono venuta a scuola pensando solo ad Umberto e al pomeriggio di ieri, ma quando ti ho visto in classe mi sono sentita di nuovo morire dal desiderio di te.
Eppure qualche banco più in là c’era Umberto, con i suoi capelli biondi e quell’adorabile aria imbronciata che ha ogni volta che ti vede. Guardarlo mi faceva sentire bene, mi faceva sentire amata.
Non riesco a capire.
Sto qua davanti al mio piatto e non ho nessuna fame. Mia madre mi guarda di traverso, ma è una scena che ho già visto e non le presto attenzione.
Rigiro la forchetta nella verdura e penso a poco fa, quando mia hai fermata in corridoio. È come se la scena si ripetesse all’infinito, sempre uguale a se stessa, sempre diversa.
«Susi» hai detto.
Mi sono girata e ti sei avvicinato.
«La settimana prossima vorrei approfondire con la classe l’Italia del rinascimento… dopo ci sarà un compito…» Fai una pausa, poi ricominci. «Sei sicuramente la più dotata della classe, lo sai?»
«Grazie» dico sentendomi arrossire.
«Be’, comunque ho pensato che forse ti piacerebbe saperne di più sull’argomento. Ho dei testi a casa che potrebbero rivelarsi interessanti… se vuoi te li cerco. Mi piacerebbe poterti dare un ottimo voto».
Io rimango imbambolata; a me della storia non frega un accidente e di certo non ho voglia di leggermi altri testi oltre quelli di scuola, ma la proposta viene da te, come potrei mai rifiutare? Così annuisco e ti ringrazio di nuovo. Mi sorridi: «Bene. Se vuoi te li posso portare già oggi».
«Uhm, ok» rispondo sempre più confusa.
«Allora ci vediamo qua fuori verso le tre».
«Ah, ok… va bene».
Mi saluti e mi lasci lì con il cuore in gola e la salivazione azzerata.
A Umberto ho detto che oggi non posso uscire, non mi piace mentirgli, ma non capirebbe mai un incontro con te. Sicuramente ci vedrebbe qualcosa di poco chiaro.
Mi chiedo cosa sia successo, è come se mi fossi persa tre quarti di un film che però mi riguarda. Una parte di me si chiede se per caso tu non ti sia accorto che mi stavi perdendo e abbia deciso di farti avanti, ma l’altra parte di me non osa crederci. Probabilmente vuoi davvero consegnarmi solo quei libri e darmi un buon voto nel compito in classe.
«Per favore, smettila di giocare con le verdure» mia madre irrompe nel mio mondo con voce perentoria.
«Non ho fame».
«Non me ne frega niente, ora tu finisci di mangiare».
«Non mi vanno giù».
«Be’, non è un problema che mi riguarda».
Oggi è particolarmente di malumore, così cerco di non provocarla ulteriormente e di infilarmi in bocca queste stramaledette verdure, non posso assolutamente rischiare un castigo.
Le ingoio a grandi forchettate e quasi non le mastico, lei continua a guardarmi in modo strano, sono sicura che mi sta immaginando preda di chissà quale improbabile disturbo alimentare. Faccio finta di niente e conto i minuti che mi separano dalla fine del pranzo e dalla salvezza di un ritiro nella mia camera.
Finito di mangiare mi alzo e mi infilo in bagno. Ho poco tempo e devo spicciarmi se voglio essere davanti alla scuola per le tre. Mi lavo e mi rifaccio il trucco, indosso il completino intimo più bello che ho, tanto per andare sul sicuro, poi infilo un paio di jeans attillati e una maglietta scollata.
In un lampo sono fuori casa.

Ti trovo ad aspettarmi seduto in macchina. Mi saluti con un gesto della mano.
Dio, quanto sei bello!
Scendo dal motorino e mi avvicino: «Salve».
«Ciao Susi, come va?»
«Bene bene, grazie… e lei?»
«E tu, ti prego, almeno fuori da scuola diamoci del tu… non sono poi così vecchio, sai?!»
«Ah! Sì, certo…»
«Vieni, sali» mi inviti aprendo la portiera.
Non so bene cosa provo, è una vertigine continua, un vortice che mi trasporta, è il mondo che scompare per poi tornare in nuove forme e colori.
Quasi tremo mentre salgo in macchina.
«Qui ci sono i libri che ti avevo promesso» dici porgendomeli. «Però ora che sei qui, vorrei poter essere sincero».
Ti guardo senza dire una parola ma credo tu capisca dall’espressione del mio volto che sto pendendo dalle tue labbra, infatti continui: «Mi piacerebbe portarti in un posto non lontano da qui. Ho bisogno di parlarti al riparo da occhi indiscreti… mi capisci?»
Annuisco ma non ho capito una parola, l’unica cosa che ho afferrato è che vuoi passare il pomeriggio con me e ora sono pervasa da un’emozione che non ha confini, né parole per essere descritta ma pare volermi divorare l’anima, la ragione, il cuore.
Tu non sembri neppure accorgertene e ricominci a parlare: «È che la gente ci gode sai a vedere cose che non ci sono, a parlar male, a sporcare anche le cose più innocenti…»
Metti in moto la macchina e ingrani la marcia. «Allora ok?»
Io accenno un sì con la testa e osservo le tue mani così sexy muoversi sicure tra il volante e le marce. Ne osservo le vene, le unghie ben curate, la pelle ambrata. Sono mani tanto possenti da incutere quasi timore, eppure si muovono agili e aggraziate. Mi chiedo quante donne abbiano toccato, a che sensazione proverebbero accarezzando il mio corpo.
Tu non dici niente, continui a guidare e non mi guardi mai. Mi chiedo se dovrei rompere il silenzio, ma la verità è che non mi viene in mente niente che non sembri stupido o fuori luogo, così fingo di guardare fuori del finestrino e ti osservo di nascosto.
«Sei silenziosa». Dici a un certo punto. «Ti sei pentita di essere qui con me?»
«No! No! Anzi!» rispondo un po’ troppo in fretta.
«Non è che stai pensando al tuo ragazzo?» Chiedi con aria maliziosa.
«Io…» rimango un po’ a pensare a quale potrebbe essere la risposta giusta, poi decido di stare al tuo gioco: «Be’, non è che sia fidanzata…»
«A no?»
«No, niente di serio» taglio corto.
Annuisci, poi aggiungi: «Certo, alla tua età è giusto spassarsela».
Mi chiedo se tu non mi stia giudicando male, di certo l’unica cosa che non vorrei è che pensassi che sono una troia, per cui preciso: «Comunque non è che me la spassi poi tanto».
«Però lo sai che potresti avere tutti gli uomini che vuoi…»
«No, non credo proprio!»
«Forse sei ancora troppo innocente per accorgertene, ma ti assicuro che non passi inosservata».
«Be’… grazie…»
«Sai, ultimamente non vedo l’ora di poter insegnare nella tua classe… e non perché mi diate particolare soddisfazione, tutt’altro… è che vederti, sentire il tuo sguardo su di me, poterti stare accanto… be’, era da tanto tempo che non provavo più delle sensazioni simili».
Io ti ascolto e ad ogni parola che pronunci è come se un tuono mi squarciasse il cuore. Tutti i miei sogni, le mie speranze, ora non valgono un millesimo della realtà. Credo di non essere mai stata tanto emozionata in vita mia, né di essere mai stata tanto grata alla vita. Vorrei dirti tutto, amore, vorrei parlarti di ogni singolo istante in cui ho pensato a te, ho sofferto per te, ho sognato di te… ma è talmente grande quello che sento che non riesco a dire niente, rimango paralizzata, completamente in balia del suono della tua voce.
«Ti sconvolge che io provi qualcosa per te?» Mi chiedi.
«N-no… cioè sono contenta…»
«Davvero?»
«Non ti eri accorto che mi piacevi?»
«Un po’… ma non ne sono stato più tanto sicuro quando ho scoperto che uscivi con il tuo compagno».
«Ah!» Dico mortificata. «Ma è che io… io non credevo proprio di avere speranze con te».
Sorridi e mi accarezzi un ginocchio provocandomi una stilettata al ventre. Poi continui: «In ogni caso non avrei mollato tanto facilmente. Sono abituato a lottare per le cose che voglio e normalmente le ottengo… Ecco Susi, siamo arrivati» dici fermando l’auto. Di fronte a noi chilometri di spiaggia deserta e la linea blu del mare che si perde all’orizzonte. Scendiamo e ci dirigiamo verso l’arenile.
«Questo è un posto speciale per me. Mi piace venirci in primavera; la temperatura è gradevole e, a parte qualche pescatore, non c’è nessuno. La gente aspetta sempre che faccia caldo per venire in spiaggia ma secondo me è una stupidaggine, d’estate c’è troppa afa, il mare è affollato, si devono fare chilometri di coda per arrivarci… ora invece la senti la pace? Il silenzio?» Annuisco ma tu non sembri neppure vedermi.
«Vedi, io amo godere delle cose che mi piacciono. Come questa spiaggia… io rifuggo dalla folla per godermela in santa pace. Quello che la maggior parte della gente non capisce è che si può avere tutto ciò che si desidera. Basta volerlo. Io non mi sono privato di niente in tutta la mia vita, e ne sono fiero».
Alzi il palmo e lo apri verso l’alto. «Vedi Susi?» La mano si richiude sulla brezza marina. «Posso prendere tutto quello che voglio».
Ti osservo senza capire, mi sorridi: «Io voglio te» dici guardandomi negli occhi.
Mi tremano le gambe. Da quanto sogno questo momento? Nemmeno lo ricordo più. Dal primo istante in cui ti ho visto, forse.
Ti avvicini e mi abbracci, sento il tuo profumo e non so perché ma è come un sudario che cala e si avvolge sul mio corpo appropriandosi del mio respiro. Per un attimo vorrei solo scappare via, poi tu mi baci e tutto il mondo scompare.
Ci sdraiamo sulla sabbia umida, continui a baciarmi, la tua mano scivola sotto la maglietta e slaccia il reggiseno, poi sei sopra di me, il tuo peso mi soffoca ma non ho il coraggio di dire niente.
Ho paura che ci vedano, così te lo dico ma tu minimizzi, troppo preso dalla tua stessa eccitazione per badare a me, cerco di pensare che probabilmente hai ragione tu ma la verità è che qui non mi sento tranquilla e vorrei tanto che ce ne andassimo.
Quando tutto finisce ti rivesti veloce, senza nemmeno guardarmi in faccia. Io rimango lì impalata.
«Che fai, non ti vesti?» Mi chiedi con un tono stizzito che mi ferisce.
«Sì certo» rispondo, ma mi muovo lentamente perché cerco di darti la possibilità di abbracciarmi, di dirmi che è stato bello, o una qualsiasi cosa gentile.
Invece tu sospiri come se ti stessi esasperando: «Fai in fretta, ci vuole un po’ per tornare in città».
Invece inizio a fissarti. Te ne accorgi, sospiri di nuovo: «Che c’è?»
«Niente».
«Dai, piccola, per favore».
«È che… non so. Ho la sensazione di non piacerti».
«Ma che dici?!» Ti avvicini e mi accarezzi la testa. «Mi piaci tantissimo, non ti avrei portato qui altrimenti, non credi?»
Annuisco ma non è la risposta che volevo: «Ci rivedremo?»
«Santo cielo Susi, siamo venuti qui per divertirci un po’, pensavo fosse chiaro! Del resto sbaglio o un ragazzo ce l’hai già?»
«Sì, ma… io voglio stare con te» rispondo tutto d’un fiato e al limite delle lacrime.
«Non credo sia possibile».
«Perché no?»
«Perché sono il tuo professore e ho molti più anni di te».
«Non vuol dire niente!»
«Cristo santo! Certo che vuol dire! Vuoi rovinarmi?»
«Io pensavo di piacerti…»
«Sì, lo abbiamo capito Susi, lo hanno capito anche i fottuti gabbiani!»
«Smettila di urlare» dico piangendo.
«Io la smetto Susi, ma tu la devi smettere di fare la bambina».
«Mi hai usata… io, io sto male!»
Ti siedi accanto a me, improvvisamente calmo, mi prendi una mano, la accarezzi: «Mi dispiace, davvero, io pensavo… sono stato uno stupido, credevo che per te fosse un gioco… niente di più… se solo avessi immaginato, ti giuro che avrei fatto di tutto per non farti soffrire».
Non riesco a fermare le lacrime, mi sento ferita e umiliata e ho tanto freddo. Vorrei solo rivedere Umberto e dirgli che lo amo, che voglio solo lui, che non lo tradirò mai più.
Oddio mi sento così sola! Perché non posso averti? Perché?
«Ti va di alzarti?» Mi chiedi.
Io non vorrei, rimarrei qui per sempre pur di stare accanto a te, però mi alzo e ti seguo docile per non farti arrabbiare. È tutto così diverso da come me l’ero immaginato che quasi non riesco più a respirare. È come se mi avessi strappato il cuore dal petto, e ora non fossi che un sacco vuoto.
Come hai potuto fare questo al mio amore?
Te lo sei portato via e l’hai gettato nella spazzatura, come se valesse meno di niente.
Sei solo un bastardo, un lurido verme.
Ho lasciato che strisciassi dentro di me e mi mangiassi il cuore, ma non puoi farla franca così, non puoi scappare via e dirmi che non è successo niente.
Cosa sono ora senza nemmeno la speranza di poter essere amata?
Sei bellissimo amore, vorrei solo toccarti e stringerti forte, perché non mi dici niente? Non capisci che così mi uccidi?
Non faccio altro che piangere ed è come se tutte le lacrime del mondo si fossero raccolte in me.
Basterebbe una parola, anche un piccolo gesto e io ti perdonerei, ma tu non mi dai nemmeno una speranza a cui aggrapparmi. Nemmeno mi guardi più, aggiusti la manopola della radio e cambi stazione.
Che belle mani… quelle mani sono state mie…
No! Non puoi lasciarmi così, non lo vedi quanto sono disperata?
Mi chiedo come tu possa rimanere tanto indifferente al mio dolore. Sei così freddo e distaccato che quasi ho paura di te.
Arriviamo davanti alla scuola e tu accosti. Ci salutiamo e tu continui a far finta che non sia successo niente. Mi lasci lì come un idiota e io penso che forse è tutto un brutto sogno, perché è impossibile per un essere umano sopportare il dolore che sto sentendo io.

Il preside certo non se l’aspettava, quando questa mattina sono entrata nel suo ufficio e ho iniziato a parlare ha improvvisamente perso la sua solita espressione arrogante e mi ha perfino offerto un tè caldo. Mia madre mi ha tenuto la mano per tutto il tempo. Da ieri mi riempie di attenzioni, non mi aveva mai coccolata così, devo ammettere che è bellissimo, è un rifugio dove fare riparo.
Sono le tenebre senza di te, mi sembra di impazzire. Però ci ho tenuto a venire qui a scuola, anche se i miei non avrebbero voluto. Il fatto è che Umberto ancora non sa niente e io voglio parlargli di persona. E poi desidero vederti per l’ultima volta e farmi attraversare dal tuo odio, forse mi riconsegnerai il mio amore intatto e capirai quanto mi hai fatto male.
Guardo i carabinieri salire le scale per poi sparire al piano superiore.
C’è molto silenzio questa mattina, la luce entra prepotente dalle finestre e illumina in mille bagliori il pulviscolo dell’aria. Socchiudo gli occhi e mi perdo in quei giochi luminescenti.
Per un attimo penso che forse il mondo è il mio pugno, così alzo la mano verso il cielo e provo a giocare con il sole. Il tempo sembra dilatarsi e allo stesso tempo comprimersi a tal punto da rimanere chiuso in un secondo eterno, poi all’improvviso sento rumore di passi subito seguito da un brusio che si solleva tutto insieme, vorrei voltarmi ma il sole mi sta accarezzando il volto e io mi sento fragile e immobile come una bambola di cristallo. Sono pura trasparenza.
Ti sento, so che mi stai passando accanto, ma il sole mi acceca e non riesco a vederti.

© 2008 Laura Bottazzi