Laura Bottazzi, Verso la madre di tutte le feste



S
ono seduto sul bordo della piscina del tennis club e faccio dondolare pigramente le gambe nell’acqua. Mi piace osservare le increspature che creo a ogni movimento. Il propagarsi delle onde e l’incresparsi dell’acqua rimandano a concetti profondi e sostanziali che in questo momento non ho voglia di focalizzare e che quindi lascio scorrere in superficie.
Laura Bottazzi
Laura Bottazzi è nata nel 1975 e vive a Viterbo. Ha esordito sulla rivista Fernandel con il racconto Susanna, pubblicandone poi diversi altri.
Nel 2009 è uscito il suo primo romanzo, Una pelle bellissima.
Carlo è in ritardo come al solito. Allungo una mano verso il mio cuba libre e lo finisco in una sorsata, poi faccio cenno alla bagnina di portarmene un altro. Lei fa finta di non vedermi ma io insisto fino a quando non si arrende e, pur di essere lasciata in pace, va a chiamare il cameriere.
Se non fosse carina non credo che la indispettirei così tanto, ma il fatto che io la trovi attraente ha un peso che non posso ignorare. Una volta ci ho anche provato, ma mi ha dato un sonoro due di picche. Penso stia con uno che insegna fitness: uno sfigato terribile.
Il cameriere si avvicina con un mezzo sorriso e raccoglie il bicchiere vuoto che ho abbandonato per terra. Gli dico di portarmi un altro cuba libre e lui sculetta verso il bar. Credo che il cameriere sia frocio.
Carlo è il mio migliore amico, ma questa sua incapacità di essere puntuale mi fa venire voglia di cancellarlo dalla mia rubrica. Del resto è anche vero che ci conosciamo dai tempi del liceo e che in parte è merito suo se oggi sono quello che sono: se lui non fosse stato una spalla tanto perfetta, io probabilmente sarei finito a fare il ragioniere. Invece me la godo. Anzi, me la godo proprio di brutto, se è per questo.
Con la coda dell’occhio vedo arrivare Carlo che cammina svelto e gronda sudore. Mi si ferma accanto e si asciuga la fronte con un fazzoletto: «Scusa bello. Una giornata tremenda» dice a mo’ di saluto.
«Sai quanto mi irriti aspettare come un coglione. Nemmeno fossi una bella figa, cazzo» sibilo tutto d’un fiato aggrottando la fronte.
«Il capo mi ha chiamato all’ultimo momento. È successo un casino. Il panico. Veramente il panico è dire poco…»
Lo interrompo subito con un gesto secco della mano: «Cosa bevi?» gli chiedo.
«Un Bellini?»
Alzo il braccio verso la bagnina, che mi gira immediatamente le spalle, poi intercetto lo sguardo del cameriere e gli urlo di portare anche un Bellini insieme al cuba libre.
«Non mi aspettavo questo invito» dice Carlo con aria vaga.
Guardo lontano, come se ci fosse un orizzonte, ed elenco in silenzio i possibili commenti alla sua osservazione, poi sorrido: «Era un sacco che non uscivamo, io e te».
Carlo mi guarda perplesso ma ha il buon gusto di non dire niente.
Il cameriere arriva con i due aperitivi, indugia un secondo di troppo sul viso di Carlo e se ne torna verso il bar.
«Sei ingrassato» dico. Poi mi volto verso la bagnina, le strizzo l’occhio sorridendo e alzo il bicchiere.
«Figa la bagnina, vero?» la indico deliberatamente.
«Carina. Bel corpo. Gran belle tette. Brutte caviglie».
Le capacità analitiche di Carlo mi hanno sempre colpito.
Mi alzo dal bordo della piscina, mi asciugo velocemente le gambe e infilo un paio di pantaloni di cotone blu. Faccio strada verso il ristorante del club. Entriamo in un salone elegante e il maïtre ci accoglie con un sorriso troppo largo.
«Come va con Stefi?» chiedo dopo aver ordinato una bottiglia di Chardonnay.
«Piuttosto bene».
La sua risposta mi indispettisce, così cerco di provocarlo, stupidamente, senza nemmeno sapere dove voglio andare a parare. Alla fine lui dice qualcosa che mi sciocca davvero, che mi lascia talmente sgomento da farmi venire voglia di ricominciare a fumare, e le uniche parole che riesco a pronunciare sono: «In che senso, vi sposate?»
Carlo si mette a ridere, arrossisce imbarazzato, distoglie lo sguardo e ha un’aria talmente ebete che avrei voglia di insultarlo.
«In effetti sono stato contento di questo invito. Stavo per chiamarti io» dice. «Vorrei che tu mi facessi da testimone».
Io ancora non riesco a dire niente. Mi limito a fissarlo.
«Uh… be’… non sei contento?» chiede.
«Sì, certo» mi riprendo. «È che sono sorpreso. Caspita. Non me l’aspettavo».
«Mi farai da testimone?» insiste lui. La testa mi sta scoppiando e vorrei solo che la smettesse di incalzarmi con la sua stupida domanda e mi desse il tempo di respirare e di assorbire questa notizia da novella 2000 dei poveri. Così sorrido, annuisco, lo guardo negli occhi. E i miei sono gesti di pura autodifesa, perché l’unica cosa che mi importa è farlo tacere.
Faccio un cenno al maïtre: «Champagne!»
Questa sera devo proprio ubriacarmi.
Lascio che Carlo mi racconti tutto quello che già immagino oppure ho sempre saputo, e fingo interesse non per semplice cortesia ma perché, cazzo, gli voglio bene. Sul serio, quasi come se fosse un fratello. E anche se mi sta deprimendo, se mi fa male anche solo l’idea di loro due insieme per la vita, lo faccio continuare. Mi sento un martire dell’amicizia.
Continuo a guardarlo con aria assorta e partecipativa e intanto penso che davvero mi divertirei di più passando la serata a darmi martellate sulle palle.
Mi scappa uno sbadiglio che inghiotto velocemente, ma non abbastanza perché passi inosservato. C’è un attimo di silenzio, poi Carlo cambia discorso e mi chiede di Lucia.
«Non ci vediamo più» gli notifico liquidando l’argomento con un gesto.
«Davvero?»
«Hm hm».
«Credevo ti volessi ritirare».
«Ho un’altra storia» butto lì per tagliare corto.
Carlo sorride, si sporge sul tavolo: «Com’è?» chiede.
Penso a Marta, alle sue forme perfette, a quegli occhi liquidi e un po’ miopi, alle labbra rifatte: «Ricca» commento alla fine.
Carlo scuote la testa, sorride: «Sei il mio mito».
«Una sera potremmo uscire tutti e quattro».
«Ne desumo che sia la tua fidanzata ufficiale».
Annuisco con una certa gravità.
«L’hai conosciuta per… uh… lavoro?»
«Mi ha chiamato un giorno che si trovava in città. Il numero glielo aveva dato Niki. Te la ricordi Niki?»
«Non mi pare…»
«Cazzo…» Per un attimo mi perdo nei ricordi: «Be’, si sposa anche lei. Non è incredibile?»
Carlo annuisce, sorride, credo per compiacenza.
Butto giù il bicchiere di champagne e me ne verso dell’altro: «Domani sera c’è una festa. Non puoi mancare» mentre lo dico mi accorgo di avere un tono disperato, e cerco di mascherarlo schiarendomi la voce. Ostento indifferenza fissando un vaso di fiori alla mia sinistra.
Carlo guarda il vuoto dietro di me e scuote la testa. Sento il panico crescere, allora insisto ingigantendo l’importanza dell’evento. Probabilmente comincio a sembrare patetico, ma non riesco a farci nulla: «Ci saranno tutti quelli che contano davvero. Veline, letterine e fighette allo sbaraglio a fare da contorno».
«Sto per sposarmi» cerca di protestare lui.
«E con questo?» lo guardo sgranando gli occhi. «Sto parlando di pura estasi!»
«Domani devo vedermi con Stefi…»
«Lei non ci va alle feste?» butto lì con innocenza.
«Be’, certo…» Carlo sorride rassegnato. «Allora glielo dico».

La musica mi sta trapanando il cervello. Me ne sto appoggiato al bancone del bar e mi guardo intorno alla ricerca di un volto noto. Ci sono un paio di modelle che conosco e mi sono già scopato, a parte loro, non vedo nessuna persona di rilievo.
Faccio il giro del locale, saluto un po’ di gente, mi fermo a chiacchierare con una ventina di persone. Spossato, ritorno al bancone del bar dove ho lasciato Carlo e Stefania.
Stefania sorride e si sporge verso di me chiedendomi se questa sera avrà il piacere di conoscere la mia nuova fidanzata. Mi parla talmente vicino all’orecchio che sento le sue labbra muoversi. Le rispondo che Marta non si sente bene e ha preferito rimanere a casa. Ci saranno altre occasioni.
Adocchio una tipetta niente male che credo di aver visto qualche volta in tv e la raggiungo intenzionato a portarmela a letto anche se, guardandola da vicino, non mi piace nemmeno granché.
Lei mi lascia fare, si fa offrire da bere e mi accompagna fino al tavolo dove nel frattempo si sono seduti Carlo e Stefania.
Fatte le presentazioni, la conversazione langue, vuoi per il volume della musica, vuoi perché questa tipa sembra essere veramente ebete. La trascino verso la pista e iniziamo a ballare mentre con una mano reggo l’ennesimo cuba libre della serata.
Carlo e Stefania ci osservano fino a che la loro attenzione non viene catturata da un gruppo di persone che sembrano conoscere piuttosto bene.
Afferro la ragazza e la trascino verso l’uscita del locale. Lei cerca di protestare, dice qualcosa che non ascolto, alla fine cede e mi segue fino alla macchina.
Per me la serata potrebbe anche concludersi qui.
«Vuoi che ti accompagni a casa?» chiedo.
Mi fissa ostentando un certo sgomento.
Immagino che dovrei saltarle addosso, è il minimo che si aspetta da me, ma sono così demotivato che riesco solo ad avviare il motore della macchina.
Mi fermo sotto il mio appartamento.
«Abiti qui?» chiede guardandosi intorno.
«Hm hm».
«Scendiamo?»
Fisso il buio oltre il parabrezza. Sento gli occhi curiosi e avidi della ragazza su di me.
«Senti, mi dispiace» butto lì con aria affranta.
«Che succede?»
«Tu sei bellissima» mi fermo per darle il tempo di assaporare il complimento. «Solo che io sono veramente ubriaco». Pronuncio le ultime parole trascinandole come se avessi la bocca impastata. Faccio una smorfia come se mi venisse da vomitare, ma nonostante tutto sento ancora i suoi occhietti indagatori che mi scrutano e sembrano volermi scavare dentro il cervello. Mi fa talmente impressione che mi prende il panico: mi lancio su di lei e la bacio con troppa enfasi. Vengo investito dal sapore alla vaniglia del suo lucidalabbra. A questo punto mi viene da vomitare sul serio.
«Che c’è?» chiede accarezzandomi il viso.
«Ti riporto a casa».
Lei ci rimane male, mi guarda stordita.
Io nemmeno la degno di un’occhiata.
«Va bene» dice rassegnandosi.

Sono nudo sul letto di Marta, la guardo mentre si fuma una camel e intanto mi sorride con aria compiaciuta.
«Questa sera?» chiede con un tono volutamente sorpreso.
Io annuisco e, anche se sono giorni che le parlo della cena di questa sera, mi trattengo dal mandarla affanculo.
«Te ne ho parlato, non ricordi?»
«Sì, amore, scusami. Ho un sacco di pensieri ultimamente».
Mi chiedo che cazzo avrà da pensare con quel cervello da gallina, ma evito la questione e mi alzo di scatto.
«Dove vai?»
«Mi faccio una doccia».
«Sei arrabbiato?» mugola tirando fuori una vocina stridula.
«No tesoro».
«Guarda che ci vengo alla cena» dice.
Le sorrido, mi avvicino alla sponda del letto e la bacio: «Sei un amore» sussurro.
Mi butto sotto lo scroscio dell’acqua e penso a quanto sarebbe bello ora volarmene via e andare a vivere in un posto caldo, aprire un chiosco di bibite sulla spiaggia, starmene tutto il giorno in bermuda e ciabatte.

Siamo in un locale sushi molto alla moda. Noto un paio di calciatori e un tizio griffatissimo che non la smette un attimo di fissarmi e sorridermi. Penso che se non fossi tassativo riguardo le mie frequentazioni, ora sarei ricco sfondato. Mi scolo un bicchiere di vino, sorrido a Marta che sta ordinando dal menù e mi guarda in cerca di approvazione.
Carlo e Stefania siedono l’uno vicino all’altro e sembrano perfettamente a loro agio. Stefania mi racconta degli innumerevoli locali di sushi che ha provato negli ultimi tempi, complimentandosi con me per la scelta di questo ristorante, a suo giudizio il migliore della città. Io la guardo e l’unica cosa che riesco a pensare è che non mi era mai sembrata tanto bella come questa sera. Muove la testa, e i capelli rossi le ondeggiano sinuosi sulle spalle. Vorrei immergermi in quei capelli, infilarmici completamente nudo e non uscirne più.
Carlo intanto sta rievocando qualche aneddoto spassoso su quando io e lui frequentavamo l’università. So che sta cercando di far sentire Marta a proprio agio, e gliene sono quasi grato. Lei ride e mi guarda con occhi stranamente lascivi. Mi scappa un brivido e avverto l’impulso irrefrenabile di alzarmi da tavola. Invece rimango seduto e mi rifugio in Stefania, nei suoi occhi nocciola, nella piega del suo sorriso divertito. Lei si accorge di me, si passa una mano tra i capelli, abbassa lo sguardo e un’ombra cala sul suo volto come un sipario. Penso che potrei prenderle la mano e portarla via per sempre.
Marta mi stringe una gamba riportandomi alla conversazione mentre Carlo racconta di quanto fossi popolare tra le professoresse di economia. Io mi schermisco ma devo ammettere di aver sempre posseduto un certo talento, una sensualità irresistibile. Non farne un mestiere sarebbe stato un vero spreco. Eppure ora sono stanco e vorrei solo starmene in santa pace. A furia di scopare uno si prosciuga di tutte le sue energie.
Siccome mi sto deprimendo, inizio anch’io a raccontare un po’ di storie sulle conquiste di Carlo; grazie alle mie parole appare decisamente più figo di quanto non sia mai stato. Mi accorgo che Stefania sembra infastidita. Mi guarda in tralice ma io la fisso con aria di sfida e calco la mano arricchendo i miei racconti di particolari sempre più sordidi. C’è un istante in cui sento di odiarla con tutte le forze. È come se ci fosse una vocina dentro di me che non posso ignorare e che non fa che parlare male di lei. Dopo un po’, Stefania si scusa e si alza, abbandonando definitivamente il campo. Un po’ deluso, faccio qualche battuta idiota, accolgo sollevato l’arrivo delle prime portate di pesce e, quando torna, le lancio un’occhiata di fuoco che per un attimo la fa arrossire.

A Marta piace il fatto che io sia uno gigolò. La fa sentire speciale. Credo che le piaccia persino il pensiero che io stia con lei solo per i suoi soldi. La fa sentire potente, in grado di tenermi al guinzaglio.
Abbiamo appena lasciato il ristorante di sushi e lei mi è addosso. I racconti di Carlo si sono tramutati in pura frenesia sessuale. Cerco di tenerla a bada senza successo. Non ho quasi il tempo di trovare un posto riparato in cui parcheggiare, che lei mi sta già facendo un pompino. Tutto sommato non mi dispiace neppure, se non fosse che il corpo di Stefania galleggia nella mia testa e mi tormenta. Mi lascio andare e cerco di immaginarla al posto di Marta, ma le due figure si sovrappongono, e alla fine Marta addirittura scompare per lasciare il posto alla visione di Carlo e Stefania che scopano. A questo punto mi si è irrimediabilmente ammosciato. Scosto Marta senza nasconderle un certo fastidio e mi appresto a riavviare il motore.
«Che ti succede?» chiede con tono aggressivo.
Alzo gli occhi al cielo pensando a quanto vorrei darle una pedata e buttarla fuori dalla macchina.
«Ho bevuto troppo sake» mi giustifico.
«Non abbiamo bevuto sake» puntualizza alzando la voce di un tono.
«Quello che era».
«Non ti era mai successo prima».
La guardo sconcertato dagli infiniti sottintesi di quella frase.
«Che vuoi dire? Ho solo bevuto troppo»
«È questo che diresti a una cliente?»
Mi sento vagamente colpito nella mia virilità, ma non sono avvezzo a raccogliere questo tipo di provocazioni, così ostento un’aria di grande raziocinio e superiorità: «Con le clienti avrei usato il cialis».
Marta si ammorbidisce e mi si stringe addosso: «Scusa. Sono una vipera».
Io non dico niente e le accarezzo i capelli, ma il ricordo della chioma rossa di Stefania mi investe con tale forza da provocarmi un’erezione immediata. Marta ridacchia soddisfatta, e io lascio che la sua bocca mi inghiotta.

Ho invitato Carlo e Stefania a pranzo. Mentre li aspetto, faccio una nuotata nella piscina del tennis club. Non riesco a smettere di pensare che tra poco si sposeranno, e mi assale una tremenda malinconia dei tempi in cui Carlo e io eravamo due scapoli impenitenti.
Qualche volta vorrei che Stefania non fosse mai esistita.
Esco dall’acqua e mi asciugo. Sono di cattivo umore e ho mal di testa. Mi vesto in fretta e butto giù un’aspirina. Quando finalmente arrivano, sfodero il mio sorriso migliore e li bacio entrambi. Lei è vestita con un abitino scollato a fiori bianchi e azzurri. Mentre avvicino le mie guance alle sue, con una mano le sfioro la schiena nuda e sento una scarica di adrenalina.
Faccio strada verso il ristorante, poi mi viene in mente di una festa a cui avevo promesso di andare, così mi giro e dico: «Ehi! Che ne dite di una gita al mare?»
Carlo mi guarda perplesso: «Io dopo dovrei tornare in ufficio».
«Dai! Non fare il guastafeste!» mi spalleggia Stefania entusiasta.
«Non so…»
«Daai» miagola lei con un tono di voce che mi fa venire i brividi.
Carlo sospira, corruccia la fronte, scrolla le spalle: «Fatemi fare una telefonata».
Si allontana lungo il viale di accesso ai campi da tennis e io e Stefania ci guardiamo negli occhi. Lei mi sorride, forse ignara o forse del tutto consapevole della mia voglia di scoparla.
«Ti ricordi la prima volta che ci siamo conosciuti?» chiede socchiudendo gli occhi.
La domanda mi coglie di sorpresa: «A una festa?» azzardo.
«No».
«A casa di… Francesco?»
«Acqua».
«In barca? L’estate scorsa? In Corsica?» annaspo.
«Lascia perdere» dice delusa. «Eravamo a Formentera, in discoteca… io ero con delle amiche…» tiene la frase in sospeso come se ora dovesse apparirmi tutto chiaro. Il silenzio è raggelante.
«Santo cielo Alex. Tu ci hai provato con me
Sono talmente sbigottito che per alcuni secondi non riesco a dire una parola, poi mi riprendo e sorrido sporgendomi verso di lei: «E non me l’hai data?»
«No» dice imbronciata.
«Perché?» chiedo sinceramente stupito.
«Perché la tua fama ti aveva preceduto» mi fulmina.
«Forse è stata una fortuna; di te avrei potuto innamorarmi».
Fa una risatina forzata poi mi dà dello scemo. Ormai è nelle mie mani, non ha veramente più scampo.

Questa sera avrei dovuto vedermi con una cliente. Una nuova. Le neofite si riconoscono subito: telefonano e parlano camuffando inconsciamente la voce. Hanno un tono nervoso, qualche volta perfino aggressivo. Io cerco di metterle subito a loro agio, modulando il ritmo delle parole e dei silenzi. Calibro tutto fino al parossismo, di solito riesco a farle sciogliere e scaldare a tal punto che si lasciano guidare fiduciose. Invece oggi la telefonata è stata interrotta; ho sentito la sconosciuta giustificarsi con qualcuno dicendo qualcosa su un’ipotetica amica e poi liquidarmi velocemente con un «ciao Cinzia» che mi ha lasciato un po’ depresso.
Subito dopo mi ha chiamato Carlo invitando me e Marta nel locale in cui ci troviamo ora, seduti tutti e quattro a bere champagne e ad aspettare le ordinazioni.
Stefania, naturalmente, è di una bellezza imbarazzante. Lei e Marta sembrano aver legato parecchio, ridono e parlottano tra loro quasi come se io e Carlo non ci fossimo. Faccio uno sforzo per non immaginarmele entrambe nude nel mio letto.
Stiamo parlando del più e del meno e mi accorgo di certi sguardi che Stefania mi lancia, come se oscillasse continuamente fra il volermi e il detestarmi.
Mi sorride di sfuggita, quasi senza accorgersene. Stringe la mano a Carlo.
Dove vuoi arrivare, mi chiedo.
Faccio l’indifferente, appoggio una mano sulla spalla di Marta.
Intanto la conversazione prosegue fluida, forse con qualche risata troppo allegra, che stona con l’ambiente raffinato del ristorante. Stefania e io continuiamo a guardarci, Carlo e Marta non si accorgono di niente e a me sembra incredibile perché l’eccitazione tra noi è addirittura palpabile.
Mi alzo dal tavolo con la scusa di andare in bagno. Ho bisogno di allontanarmi e schiarirmi le idee.
Mi viene da sorridere mentre immagino Stefania nuda, il corpo nervoso che si tende verso di me, gli occhi infuocati dall’eccitazione.
Entro nel bagno e mi sciacquo il viso. Devo mantenere il controllo. Respiro a fondo guardandomi allo specchio, mi ravvio i capelli.
Apro la porta per tornare verso il tavolo e vedo Stefania camminare nella mia direzione. Rallento i movimenti per darle il tempo di avvicinarsi. Ha due gambe da sballo. Le sorrido.
«Ciao» mi dice avvicinandosi fin quasi a strusciarmisi addosso.
«Ciao» sussurro.
Ci guardiamo negli occhi in un modo carico di sottintesi.
«Cosa stiamo facendo?» mi chiede fingendosi smarrita.
Abbasso lo sguardo per un istante, poi riallaccio il contatto visivo e, caricando la mia voce di un tono appassionato, le dico: «Mi sembra di impazzire». Stefania mi fissa incredula, cerco di non perdere terreno: «Non so cosa stia accadendo... Non pensavo potesse capitare a me, non in questo modo…» lei pende dalle mie labbra. «Però ora ci sei tu nella mia testa». Faccio una pausa ad effetto. «Ora voglio solo te».
Lei letteralmente si illumina, mi si getta addosso e mi bacia. Fa praticamente tutto da sola.
«Voglio fare l’amore con te» dice.
«Vieni a casa mia» le sussurro tenendola stretta.
Annuisce baciandomi il collo e sparisce chiudendosi nel bagno delle donne.
Fin troppo facile.

Sono eccitato e stranamente nervoso. Mi verso qualcosa da bere cercando di rilassarmi, ma è tutto inutile. Non riesco a stare fermo, vado alla finestra e la spalanco. Mi sembra di essere un ragazzino alle prime armi. Accendo un po’ di musica e m’impongo di rimanere seduto sul divano. Finalmente suona il campanello. Apro la porta e mi metto in ascolto dei passi di Stefania lungo le scale. Quando la vedo comparire sul pianerottolo spalanco la porta e le sorrido. Lei mi si getta al collo e mi spinge dentro casa.
Mi libero dal suo abbraccio e le offro qualcosa da bere. Mi guarda come se fossi diventato pazzo e inizia a spogliarsi. L’abito di seta le scivola a rallentatore lungo la pelle tesa, del colore dell’avorio. Mi avvicino a lei e la bacio, la stringo, l’annuso. Non aspetto, la prendo lì.
È l’alba quando mi accascio esausto sul letto. Stefania, stesa al mio fianco, mi guarda e sorride. Cerca di appoggiarsi su di me ma io mi scanso e le accarezzo i capelli per tenerla buona.
«Cosa pensi che dovremmo fare?» chiede con aria assorta.
«Non abbiamo molte alternative».
«Già…» conferma in un sospiro.
«Tu stai per sposarti» aggiungo a scanso di equivoci.
Stefania annuisce, poi si mette a piangere, in silenzio, come una bambina.
«Ehi!» le dico prendendole il viso. «Che c’è tesoro? Perché piangi?»
«Io non avevo mai provato quello che ho provato questa sera!»
Mi scappa un sorriso compiaciuto che camuffo con un colpo di tosse: «Amore…» le dico stringendola al petto.
«Non so che fare…» continua lei tra un singhiozzo e l’altro.
Annuisco e sospiro: «Non puoi lasciare Carlo».
«Perché?»
«Perché state per sposarvi».
«Forse non è la cosa giusta da fare…»
«Sì invece».
«E tu? Quello che è successo questa notte non conta?»
«Non così tanto».
«Come puoi dire una cosa del genere?» domanda inorridita.
«Carlo è il mio migliore amico».
«Ah si?» ribatte sarcastica. «Quindi le sue donne te lo scopi per amicizia?»
Alzo le spalle, non mi degno di risponderle.
Mi fissa fuori di sé e si alza di scatto: «Non posso credere che tu sia una merda tale».
La guardo senza scompormi, ma questi sentimentalismi isterici mi fanno veramente incazzare. Penso con rammarico che avremmo anche potuto divertirci.
«Cristo santo, ma vuoi dirmi qualcosa?»
Io sospiro, mi appoggio sui gomiti: «Non capisco perché tu voglia rovinare tutto. Davvero. Cosa ti aspettavi che sarebbe successo?»
Scuote la testa, mi lancia un’ultima occhiata sprezzante ed esce dalla stanza. Pochi minuti dopo sento sbattere la porta di casa.

È quasi mezzanotte quando squilla il telefono in salotto. Pochissime persone hanno questo numero, non compaio nemmeno sull’elenco. Alzo la cornetta terrorizzato all’idea che dall’altra parte del filo qualcuno si stia preparando a comunicarmi una notizia tragica.
«Ciao fratello. Ti disturbo?»
La voce impastata dall’alcol è quella di Carlo. Impreco in silenzio.
«Che succede?» chiedo.
«Niente… avevo voglia di sentirti».
Alzo gli occhi al cielo ricordandomi che Carlo, quando beve, tende a diventare sentimentale.
«Sai che ora è?»
«È sera?»
«Notte» specifico.
«Oh…»
«Perché hai chiamato?»
«Avevo voglia di sentirti».
«Ti va di dirmi perché hai chiamato?» insisto.
«Io e Stefi abbiamo litigato. Non ci sposiamo più».
Il mio cuore salta un battito: «Non dire cazzate».
«Mi sembra un incubo».
«Dove sei?»
«A casa. Sto guardando le nostre fotografie. Porca miseria Alex…»
Carlo, dall’altra parte del filo, tira su col naso. Riesco a visualizzare perfettamente la scena, ed è talmente patetica che lo invito a casa mia.
Mentre lo aspetto guardo la notte oltre le finestre. Avrei preferito dormire.
Il suono del citofono investe le stanze e vado ad aprire. Carlo è in condizioni pietose.
«Cazzo» borbotto irritato accompagnandolo al divano, «nemmeno avessi quindici anni…»
«Non ci capisco più niente» piagnucola. «Va tutto a rotoli».
«Madonna! non ti sopporto quando diventi catastrofico!»
Mi fissa con occhi vuoti da zombie.
«Sul serio, amico, che cosa può essere successo di così tremendo?»
«Non lo so» sospira, «siamo stati a cena dai suoi. Due stronzi, tra parentesi». Si ferma e mi guarda: «Hai qualcosa da bere?»
Annuisco e mi alzo per versargli un po’ di whisky, anche se è l’ultima cosa che avrebbe bisogno di bere.
«Insomma c’era parecchia tensione» dico per farlo continuare.
«Già, sì. E poi lei ha iniziato tutta una storia su… Boh… Un delirio sulla fedeltà, l’amore, la responsabilità dei figli… io non ci ho capito un cazzo. Era fuori di sé, dico davvero».
«Magari ha paura?»
Carlo mi fissa confuso: «Di che?»
«Il matrimonio?» azzardo.
«Ma se è stata lei a volersi sposare!»
Rimango in silenzio pensando che ora sarebbe semplicissimo remare contro quella stronza e rendere definitiva la loro rottura. Inspiro una gran boccata d’aria e dico l’unica cosa che mi metterà fuori gioco: «Forse si sente insicura per colpa mia».
«Che cosa vuol dire?»
«Ma sì! Le feste, le cene... Vi ho praticamente monopolizzati».
Scuote la testa: «No… non credo…»
«Invece sì. Sono stato un coglione. Dovevo lasciarvi alla vostra intimità. Domani tu le parli e rimediamo questa faccenda».
Carlo mi guarda con gratitudine e io mi sento una specie di santo.

Verso le nove mi alzo e ciabatto fino alla cucina. Trovo Carlo già in piedi, perfettamente vestito. Per un attimo mi sento smarrito: «Che ci fai qui?» gli domando.
«Ho dormito qui».
Annuisco perplesso ricordandomi di averlo praticamente infilato nel letto degli ospiti.
Noto che non ha nessun segno della sbronza di questa notte. Io invece mi sento uno straccio anche se non ho bevuto niente.
«Dormito bene?» chiedo.
Annuisce: «Benissimo». Indica la moka sui fornelli: «Ti ho lasciato del caffè».
«Ok».
«Sul tavolo ci sono anche delle brioche».
«Non mi sembri particolarmente atterrito per essere uno a cui sta saltando il matrimonio» osservo.
«Mi sento positivo».
«Bene».
«Ho pensato alla nostra chiacchierata».
«Sì?» Mi domando come faccia a ricordarsela.
«Hai ragione. L’ho trascurata troppo».
«Chi?» domando confuso.
«Stefania. Chi sennò?»
«Ah, già…» sono quasi deluso.
«Più tardi vado a parlarle. Niente più uscite da adolescenti di ritorno». Si blocca, mi guarda con aria colpevole: «Scusa eh?! Niente di personale».
«Figurati» lo liquido con un gesto.
«Qualche cena fuori e basta» continua. «E teatro. A lei piace tanto il teatro».
«Fantastico» sbadiglio. «Io mi staccherei la testa dal collo dopo due giorni, ma mi sembra fantastico».
«Non essere cinico» ribatte lanciandomi un’occhiataccia.
«Scherzavo» mento.
Carlo mi guarda severo.
«Vedrai che le cose torneranno a posto da sole» aggiungo.
«Lo pensi davvero?»
Annuisco, ma la verità è che spero esattamente il contrario.
Carlo afferra la giacca che la sera prima ha abbandonato sul divano: «Devo andare».
«Sì».
Provo una strana malinconia e avrei quasi voglia di fermarlo, invece lo seguo mentre si avvicina alla porta e fisso la sua mano che si appoggia alla maniglia.
«Grazie di tutto».
«Non dirlo nemmeno».
Mentre esce mi fa un cenno di saluto portandosi la mano alla fronte. Sto scivolando sempre più giù; è come una vertigine, un vuoto a cui non voglio e non posso dare un nome. Prendo in mano il telefono e chiamo un po’ di gente: questa sera ho intenzione di organizzare la madre di tutte le feste.

© 2009 Laura Bottazzi