Francesca Violi, Un anno a Casale Nuovo

Settima sagra del prugnòlo


La piazza è un viavai: si crepa di caldo, eppure guardali come si affollano per queste tre bancarelle sfigate! La gente non ha veramente un cazzo da fare.
La giostra, con le luci intermittenti, i cavalli finto-antico di plastica e le canzonette insopportabili, è presa d'assalto. La figlia di Nando, che è più grande lei del cavallo, sarà al decimo giro: ci scommetto che vomita, con tutto il gelato che ha mangiato prima, ma suo padre invece di farla scendere le fa ciao-ciao con la mano.
«Pronti i due macchiati!» quasi tocca urlare per farsi sentire sopra al casino generale. Il bar è pieno: dentro e fuori non c'è un tavolino libero. L'incasso sarà ottimo, sicuro. Ma io sono già stufa marcia.
E poi entra Mario.
Bermuda, Rolex, abbronzato come sempre, va dritto al bancone da papà, che lo saluta contento. Si dicono qualcosa, e Mario ride.
Ci credo che te la ridi!
Al matrimonio non sapevo niente, ma adesso mi spiego la manfrina che mi ha fatto davanti ai bagni: e che bella persona è papà, così generoso, un vero amico! Mi fiatava in faccia tutte queste belle parole misto alcol, un braccio me lo teneva intorno alle spalle, e con l'altro abbracciava tutto, la villa, i gazebo, i duecento invitati, i secchielli del ghiaccio, i centrotavola elegantissimi nei toni del verdino, la torta classica a tre piani e anche la Simona che veniva verso di noi con la faccia ansiosa. Io ero imbarazzata da questa santificazione, però anche mi faceva piacere: sono cugini ma si vogliono bene proprio come fratelli, Mario e il papà, pensavo. Ero persino un po' commossa. La Simona ci ha raggiunto (da vicino, senza la stola, si vedeva benissimo che ci ballava nel corpetto: ha perso sei chili per lo stress dei preparativi) e ha cominciato a tirare suo padre per la manica. «Papà, la torta, vieni!»
Sai che stress, ordinare le bomboniere e scegliere i fiori. Tanto abbiamo pagato noi.
La mamma mi passa dietro trascinando un fusto di birra: «Portagli un prugnolino, a Mario».
«Portaglielo te» dico, e me ne vado ai gelati dove mio fratello Francesco, invece di servire, sta facendo il cretino con una tipetta scollata, tanto che si è formata la fila. Già che gli passo accanto gli pesto un piede, apposta.
«Ahia! Oh, ma...»
«A chi tocca?»
Almeno lui avrei detto che la pensava come me. Invece, «Be', sono soldi suoi» mi fa, stamattina. «Papà ha il diritto di farne quello che vuole».
«Suoi! Sono della famiglia! Erano, anzi».
«Va be', tanto poi Mario glieli ridà, no?»
«Ma secondo te» ho detto io «se non li aveva per il matrimonio, ’sti trentamila euro, come fa a restituirli? Chissà quando li rivediamo... Se li rivediamo».
«Eh, che pessimismo...»
«Ma scusa, Fra: a te va bene che devi farti il culo qui al bar tutte le estati per pagarti il motorino o l'inter-rail, e invece la Simona se ne va in viaggio di nozze ai Caraibi coi nostri soldi?»
«Boh, cosa c'entra... Poi a me piace lavorare qua d'estate. Carne fresca! Indovina chi mi ha dato il suo numero ieri?»
Mio fratello è un deficiente.
«Comunque non ti facevo così attaccata ai soldi», ha pensato bene di aggiungere alla fine. Me ne sono andata per non prenderlo a schiaffi.
«Scusa, mia coppetta?»
Sì, giusto, la coppetta, ecco qua, culona, morivi d'inedia se aspettavi ancora un po'. Ah, è per la vecchia. Be', anche lei, dov'è che dovrà andare, è in sedia a rotelle. E poi non era morta, questa? O era un'altra? I vecchi a un certo punto si somigliano tutti.
È la mamma che me l'ha detto, del prestito, ieri sera mentre finivamo di pulire i tavoli. Non ci potevo credere: «E tu... eri d'accordo?»
«Be', per il matrimonio della Simona...»
«Ma se non avevano i soldi potevano fare una cosa più modesta, no? Invece solo il pranzo chissà quanto... E poi cioè, la Simona lavora, e anche suo marito!»
«Ma Mario si era impegnato a pagare lui. Era già tutto prenotato da prima, prima del fallimento».
«Il fallimento, il fallimento... Però non è giusto, mamma, cazzo!»
«Per tuo padre Mario è come un fratello».
Sì, il fratello furbo.
Che per la laurea mi regalassero la macchina nuova, non è che ci sperassi davvero. Continuerò a usare la mia scassona. Quello che mi fa incazzare è che papà e mamma hanno sempre fatto i muli da lavoro, messo via fino all'ultimo soldo, senza mai una botta di vita (se non contiamo Urghada: pacchetto promozione, perché il villaggio poi si è scoperto che non era ancora finito).
Invece loro, il rustico ristrutturato, le macchine grosse, la casa in montagna, i vestiti firmati... Mica si comprava i BOT come noi, Mario! Proprio la storia della cicala e la formica: solo che la formica della favola non era cogliona come mio padre.
È ancora là, Mario, all'altra estremità del banco; sfoglia il giornale e beve il suo liquore.
Entra Nando con sua figlia al braccio: lei barcolla, col faccione bianco bianco. Lo dicevo. «Dagli la chiave del bagno prima che ci vomiti addosso» sibilo a mio fratello, scostandolo col fianco, «qua finisco io». Gli prendo di mano la granita e la porgo alla graziosa mulatta: gli occhioni cerbiattosi le traboccano di delusione. Guarda, non ti perdi niente, carina, meglio così: «Fa uno e ottanta. A chi tocca?»
Per i miei diciott'anni ho fatto una serata in pizzeria. Invece la Simona festa al circolo con l'abito bianco, tipo debuttanti.
Papà, di ritorno dai tavoli esterni con un vassoio in mano, si infila dietro il banco dalla nostra parte. Ha la faccia soddisfatta. Sorride a me e a Fra, poi controlla le vaschette dei gelati: «Il gusto prugnolo, com'è che c'è ancora tutto?»
«Come ogni anno», gli dico. «Non lo vuole nessuno».
«Non capisco, buono è buono».
«Io te lo dicevo di non farlo».
«Ma è la sagra del prugnolo!»
Alzo le spalle.
«Va be'...» fa lui. «Ce lo mangeremo noi». Poi mi dà una leggera pacca sul braccio e, sempre sorridendo, se ne va verso la macchina dei caffè.

© luglio 2010 Francesca Violi