Francesca Violi, Un anno a Casale Nuovo

Un giorno feriale


La sveglia. La sveglia. La sveglia. La sveglia.
E taci! Sveglia di merda.
Mi sbatto giù dal letto. Fuori è buio, non si capisce se è nuvolo o no, però non piove.
Caffè. Non ho tempo per mangiare.
Garage, macchina, sigaretta.

Cazzo, piove! L'Egiziano ci sbatte tutti a fare i massetti. E quando finisco, così? Mi salta tutto! Il frocio! E Marchino!
Merda. Magari smette. Porca troia tocca fare benzina, di nuovo. ’Sto cesso mi beve più di un SUV.
Metto trenta euro; con caffè, brioche e pizzette fa 34,80. E sono già in ritardo.
La brioche la mangio mentre guido. Al cioccolato, l'ho presa? Non mi piace neanche, cazzo.

Le 7:40. In cantiere le macchine degli altri ci sono già.
L'Egiziano mi becca subito; guarda l'orologio.
«Piove», fa. Ma va’?
«Non tanto forte, però... Posso finire il terrazzo...»
«No, no. Non asciuga. Vai con Mergan ai massetti della seconda unità; i teli li ha già presi Mergan».
«Ok, Said, come vuoi». Il giorno che comincio a lavorare per la Fiera vengo qui e ti cago in bocca, Egiziano. «Ah, e... Said, ti ricordi che anche oggi...»
«Sì, vuoi andare via prima...»
«Verso le quattro».
«Hmm, puoi andare quando avete finito. Lo sai che domani viene il geometra, vuole vedere...»
«...qualcosa di finito, sì».

Al terzo piano Mergan ha già posato qualche telo.
«Ben arrivato!» Mi dice. Gli piace fare le battute, ma non è stronzo. Mi metto ad aiutarlo.
Comunque sono fregato, cazzo, già andando via alle quattro ce la facevo appena: mezz'ora da qui al negozio; dodici espositori da montare, fai un quarto d'ora l'uno almeno, poi i faretti... Se chiamo il frocio e gli dico che vado domani? No, sicuro che sbrocca. Capace che chiama Da Carro.

C'è un freddo boia, un umido, peggio che fuori. Poi con ’sto cristo di massetto ho già i piedi gelati. Ogni tanto Mergan mi offre un po' del suo caffè del thermos. È ancora bello caldo fumante anche se fa schifo.

Il terzo piano è fatto, e stendiamo i teli al secondo.
Quasi mezzogiorno.
«Vieni giù a mangiare?» Fa Mergan.
«Hmm, no... mangio qua al volo».
«Va bene. Io vado».
Scende.
Le pizzette le mando giù senza quasi masticare, tanto così fredde son di gomma. Poi tiro fuori la roba: è proprio il momento per un paio di striscette.
Una.
E due.
Mi stiro, faccio scrocchiare la schiena.
Va già meglio. Carico carico. Costa ’sta coca, ma ci vuole. È un investimento, si può dire. Il prezzo è al minimo storico, ma comunque...
Riprendo a lavorare. Dai che forse ce la faccio. Era troppo contento, Marchino, quando gliel'ho detto! «Al Playtown? Davvero papà? E giochiamo a bowling? E alle moto?» Quando fa quella faccetta con gli occhi stralunati e la bocca a O mi fa morire.
Mi partono minimo quaranta euro, tra le partite, il mangiare, il gelato... ma ne vale la pena.

Le tre.
Niente, c'è ancora troppo da fare, minimo fino alle sei. Pioggia di merda. Egiziano di merda. Frocio di merda.
Guarda, lo chiamo io Da Carro. Magari gli chiedo se può chiedere al frocio se...
«Pronto, ciao Da Carro, sono io, senti un po'»

Vaffanculo Da Carro porcodio! Tiro un pugno al muro.
«Questa è impresa costruzioni, non demolizioni!»
Fanculo anche Mergan e le sue battute: che cazzo ne sa lui di quanto è bastardo Da Carro? Non sono professionale, capito? Ma se al suo amico frocio gli faccio il lavoro quasi gratis! E poi da oggi a domani cosa cazzo cambiava? Eh? Ma no, no, sarebbe non professionale! Da Carro è... è come quelle che te la fanno annusare ma non te la danno! E intanto tu a zerbino, a fare favori e moine col miraggio di un po' di figa! Con ’sta cosa della Fiera mi... «Ti faccio entrare nel giro giusto, vedrai». E io qui a strisciare!
Povero Marchino, cazzo. Ci starà di merda! Magari si mette anche a piangere, e la stronza me la immagino, farà la bocca a culo di gallina, gli metterà il braccio sulle spalle, «Poverino, il papà non può neanche stavolta?», falsa maledetta, è colpa sua se sono messo così! Tiro un altro pugno, mi faccio anche male, cazzo.

È già buio.
Niente, devo avvisare la stronza. Vado di là, così Mergan non si fa i cazzi miei.
«Pronto, senti, per stasera»

Ma brutta puttana, maledetta troia, io l'ammazzo, l'ammazzo!
Non mi faceva finire una frase, subito a urlarmi!
«No, adesso glielo dici tu a tuo figlio! Glielo dici tuuuuu!»
«Ah sì, ma non lo vedi più, non lo vedi più capito, piùùùù!»
Ululati di cagna bastarda!
Mi devo appoggiare al muro con la testa, respirare l'odore del
gesso.
Un'altra striscetta.
Ci vuole.
Sì.

Raccatto la batteria, la SIM, un pezzo di gomma. Sull'azzurro del telo si vedono bene. Ho lanciato il telefono contro al muro. Il gesso si è segnato.
Ci manca solo che mi devo comprare un cellulare nuovo. Rimetto insieme. Funziona.
Funziona.

Ormai siamo al piano terra ma ne manca.
Con Marchino è saltata, e il frocio mi ha già chiamato tre volte. Guardo l'ora, 18:12. Bestemmio. E allora Mergan mi fa: «Finisco io. Vai».
Cazzo, non ci credo. Lo ringrazio sei volte, devo ricordarmi di portargli un regalo domani. Del vino, ecco.
Mi cambio al volo e scappo fuori.
Ha smesso di piovere: devo ridere?

Mentre si spanna il parabrezza mi faccio una striscetta. L'ultima, se no poi domani sono senza.
Chiamo il frocio; gli dico che sono già per strada.

© gennaio 2010 Francesca Violi