Stefano Amato, L'apprendista libraio (febbraio 2009)


Ogni tanto capita che un cliente si senta in dovere di parlare con il sottoscritto dell'avvento del digitale. Magari ha appena comprato un audiolibro, oppure il giorno prima ha letto un articolo su una rivista; fatto sta che intascando il resto sorride e dice qualcosa come: «Allora, sentiamo, quand'è che potremo dire addio al caro vecchio libro di carta?» Certo, chiacchierare di avvento del digitale con uno che in quel caso al 99 percento perderà il lavoro sa un po' di gaffe; come conversare di vaccini con un dirigente di una casa farmaceutica, tipo. In più confesso che quando mi metto a parlare di certe cose dal basso della mia formazione sci-punk, ho sempre il timore che, come in quel vecchio film di Woody Allen, da dietro l'angolo spunti Marshall McLuhan per chiedermi di smetterla di dire idiozie. Però se è un buon momento finisco quasi sempre per rilassarmi e indossare i panni dell'esperto in comunicazione.
(Per "buon momento" intendo per esempio quello che io chiamo il "pomeriggio-biblioteca": fuori piove che Dio la manda e quindi i clienti sono ridotti al minimo, non ci sono scatoloni di nuovi arrivi da caricare nel computer, e il mio unico "problema" è dover scegliere fra centinaia di libri quello che mi terrà compagnia per le prossime tre ore. Non male, vero?)
Ah, se pensate che è esagerato dire che il libro digitale mi farà perdere il posto, sappiate che non è solo farina del mio sacco. Ho letto che anche la Histoire de la librairie française, appena uscita in Francia, prevede uno scenario del genere. Pare infatti che con l'affermarsi del libro elettronico si tornerà ai tempi in cui i mestieri di editore, tipografo e libraio coincidevano. E nonostante le librerie moderne negli anni siano riuscite a sopravvivere a diverse mini catastrofi (la vendita diretta degli editori, la diffusione dei libri nei supermercati, la legge che impone il prezzo unico e infine, come ho già scritto qualche puntata fa, internet), sembra che con gli e-book non la sfangheranno.
Detto questo, ecco i miei due centesimi sull'avvento del digitale. Che poi: avvento. Neanche stesse per arrivare un nuovo messia...

Tanto per cominciare, io credo che sia inevitabile. Possiamo resistergli quanto vogliamo, ma che presto o tardi i libri smetteranno di essere fatti di carta è poco ma sicuro. Attenzione, non sto dicendo che un bel giorno una qualche lobby mondiale del libro deciderà di passare al digitale. Sarà più un'esigenza dettata dal basso. Semplicemente i libri come li conosciamo oggi non saranno più in grado di soddisfare determinati standard a cui i lettori si stanno via via abituando.
È un po' come quando dalla pergamena si è passati al libro vero e proprio. Certe opere, per esempio i trattati matematici, non potevano essere più consultate srotolando centinaia di metri di papiro. Immaginate di cercare una parola in un vocabolario stampato in quel modo: impieghereste troppo tempo. Allora si è pensato bene di accelerare tutto il processo. Qualcuno a un certo punto ha avuto la brillante intuizione che sfogliare tante pagine sarebbe stato molto più pratico che srotolare un unico lenzuolo. E probabilmente anche allora dei vecchi tromboni hanno fatto la fila per tuonare contro la nuova tecnologia, tessendo le lodi della pergamena, l'eleganza e la bellezza insita in un rotolo di papiro bla bla bla. Ma c'è stato poco da fare. Non puoi fermare l'evoluzione. Neanche quella dei libri.
Non fraintendetemi, anch'io tremo all'idea che i libri abbiano i giorni contati, e non solo perché allora mi toccherà fare richiesta di sussidio. Adoro il libro, inteso come oggetto, ai limiti del feticismo; è praticamente impossibile vedermi senza un libro in mano o in borsa, e -esagerando, lo so - provo una gran pena per quelle persone che dichiarano in tutta sincerità di esserne allergiche. Ma così come è successo in passato con la pergamena, secondo me dentro e fuori i libri si stanno verificando tanti piccoli cambiamenti che rendono il supporto cartaceo inadatto. Amen. Tocca farsene una ragione.
Farò un esempio.
Ultimamente non so perché ma sto leggendo un sacco di saggi (che mi stia evolvendo anch'io?). A differenza di un romanzo, un saggio si riconosce perché di solito è pieno di note a piè di pagina, e perché alla fine vi si trova una bibliografia più o meno lunga. Anzi, può capitare che l'ultimo quarto, quinto del volume consista proprio della lista di libri o di articoli di riviste e quotidiani a cui l'autore si è abbeverato per scrivere il volume in questione. Ecco un esempio di nota bibliografica preso da uno dei saggi che ho letto ultimamente (L'illusione di Dio):

Stephen Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri, Milano, Rizzoli, 1988, p. 197.

Pratica, utile. Semplice.
Il problema è che i saggi scritti da una decina d'anni a questa parte presentano una sorta di "mutazione" (per tenerci in campo evoluzionistico). In questi libri, infatti, oltre alle note come quella sopra è facile trovare dei veri e propri link a pagine web. Ma non link dalla forma sintetica e memorizzabile come questa, tanto per restare in casa: http://www.fernandel.it, no, è più facile imbattersi in una cosa del genere (tratta sempre dallo stesso saggio):

http://select.nytimes.com/gst/abstract.html?res=F1071FFD3C550C718CDDAA0894DE404482

Che, ammettiamolo, stampata su carta è alquanto ridicola, oltre che inutile. Fa un po' la figura che devono avere fatto agli occhi dei Neanderthaliani i primi Homo sapiens con le loro fronti spaziose, la strana postura eretta, e il brutto vizio di imbrattare le pareti delle caverne.
Di fronte a un'espressione come quella qui sopra, chiunque abbia dimestichezza con internet (praticamente tutti, ormai) non può non sentire l'urgenza di cliccarci sopra, o meglio di copiarla e incollarla sulla barra degli indirizzi di un browser. E qualcuno dei lettori lo avrà pure fatto, visto che Fernandel ormai è solo online. Chi ha stampato il pezzo invece non sa che farsene. Certo, in teoria potrebbe appuntarselo su un pezzo di carta, accendere il computer, e digitare la cosa su un browser (ammesso che l'abbia copiata correttamente, cosa di cui dubito), ma chi ce l'ha la pazienza di fare una cosa del genere? Nessuno. Così come nessuno migliaia di anni fa aveva più voglia di srotolare centinaia di metri di papiro per cercare una determinata dimostrazione di Euclide.
Ecco la frattura, la mutazione di cui parlavo. E non è che una di una lunga serie. Mi viene da dire che forse sono tutte riconducibili a un'unica macro-mutazione, l'interattività (vedi il passaggio VHS/DVD), ma - perdonate la licenza poetica - non vorrei pisciare fuori dal vaso.

Esistono già dei lettori di e-book, è vero, ma secondo me sono solo dei timidi tentativi - sono gli australopiteci* del caso. Il lettore che ho in mente io è tutt'altra cosa. Grazie alla microtecnologia avrà la forma e la flessibilità della sovraccoperta di un hardback. Nuovi materiali renderanno la sua superficie diversa da quella di uno schermo, i caratteri sembreranno stampati, potremo leggere per ore senza perdere preziose diottrie come accade con i monitor e i display di oggi. I libri non avranno bibliografia: basterà poggiare un dito sulla citazione, e una finestra ci darà la fonte, e volendo ci collegheremo al sito corrispondente. Anche perché lo strumento sarà in grado di collegarsi a internet. Anzi, sarà perennemente collegato: sarà un'appendice di internet. Tutti noi lo saremo.
Cambiare tipo e dimensione dei caratteri sarà questione di un attimo e all'occorrenza il lettore potrà diventare un audiobook. Basterà collegare degli auricolari, e il testo ci verrà recitato (questa è facile: già il mio computer è capace di leggermi ad alta voce un file di testo, sebbene Mal dei Primitives lo farebbe senza dubbio con un accento più credibile.)
Ogni libro (continuo a chiamarlo così per comodità) si scaricherà a pagamento dal sito della casa editrice, e conterrà dentro di sé innumerevoli traduzioni. Potremo prestarlo (via email) a un nostro amico norvegese, che ricambierà il favore mandandoci quel bel romanzo in lingua Inuit che lui adora.
Eccetera eccetera eccetera.

I libri cartacei, tornando a noi, non scompariranno del tutto. Saranno venduti su ebay o dagli antiquari. Continueranno anche a stamparne di nuovi, ma costeranno un occhio della testa e verranno considerati dei pessimi capricci antiecologici (avranno le reputazione che oggi hanno le pellicce o le lampadine a incandescenza). Le librerie superstiti in pratica venderanno solo la mia nemesi, gli odiosissimi libri da salotto, diventando così più simili a concessionarie d'auto o negozi di arredamento.

Chi ci guadagnerà in tutto questo?
Noi, innanzitutto, dato che leggere diventerà un'esperienza ancora più gratificante di quanto già non sia. E gli alberi, per ovvie ragioni.
(Chi ci perderà, invece, saranno i soliti ignoti. Essendo pur sempre apparecchi elettronici, anche gli e-book necessiteranno per funzionare del coltan, un minerale che viene estratto nella Repubblica Democratica del Congo praticamente sotto regime di schiavitù, in condizioni disumane.)

Quanto a me, a quel punto non mi resterà che aprire un sito dove scaricare e-book pirata, sperando solo che non mi becchino.


* Chiedo venia per il frequente ricorso a metafore evoluzionistiche, ma è un subdolo tentativo di festeggiare degnamente il bicentenario della nascita di Charles Darwin.

© 2009 Stefano Amato