Stefano Amato, L'apprendista libraio (marzo 2009)


Volete sapere chi mi manda al manicomio? I clienti che entrano quando sto per chiudere. Proprio non li sopporto. C’è un sacco di altra gente che non reggo, come i turisti che si sentono fichi se comprano Il gattopardo in Sicilia, i palestrati abbronzati che leggono solo i libri di Osho, o quelli a cui serve internet e chiedono: «Avete Google nei vostri computer?» Ma i clienti che entrano un attimo prima di chiudere non li batte nessuno. Il problema è che capitano in continuazione. Praticamente otto pomeriggi su dieci si concludono allo stesso identico modo. Questo.
Alle otto meno venti la libreria come per magia si svuota. Chi deve pagare, paga, e i perdigiorno che stanno scroccando un libro lo posano ed escono. Io, povero illuso, comincio a rilassarmi. Spengo i computer dell’internet point, rimetto a posto i libri che qualche sciagurato ha lasciato dove capitava, scelgo mentalmente la pizza da farmi consegnare a domicilio. Si fanno così le otto meno dieci. La libreria è ancora vuota, e anche il corso in cui si affaccia è diventato un deserto. Io ne approfitto per sistemare il bancone e fare programmi per il dopocena.
Alle otto meno trenta secondi abbasso una luce e, con un sorriso da ebete stampato in faccia e fischiettando Dune buggy dei fratelli De Angelis, aggiro il bancone e mi dirigo verso l'uscita.
Alle otto meno dieci secondi, sto spostando con un calcio il cuneo che tiene aperta la porta.
Alle otto meno cinque secondi sto accostando la porta.
Alle otto meno un secondo, puntuali come un orologio atomico, eccoli lì: due clienti spuntati da chissà dove, forse da un’altra dimensione, che mi guardano allarmati e pronunciano la frase più odiata dai commessi di tutto il pianeta. «State chiudendo?»
Le risposte che vorrei dare in questi casi sono così tante e dai toni così diversi (si va dall’ironico al sarcastico, al maligno, al disperato) che di solito non so cosa dire. Ed è un male, perché i due – è sempre una coppia, un lui e una lei, non si scappa – vedono lo spiraglio e ne approfittano. «È questione di un minuto», dicono. Subito dopo me li ritrovo dentro la libreria con una tale facilità, che comincio a credere si tratti di due ectoplasmi.
Ovviamente non è quasi mai questione di un minuto. Anzi, passeggiano tra gli scaffali con calma, come se avessero tutto il tempo del mondo. Prendono un libro, leggono la quarta di copertina, ne saggiano un paio di pagine. Per tutta risposta io abbasso un’altra luce.
Intanto il ragazzo mostra un volume alla ragazza e dice: «Secondo te questo può andare?»
Al che lei risponde: «Non so, magari ce l’ha già».
Che è il classico scambio di battute di chi deve fare un regalo. E infatti subito dopo uno dei due si volta verso di me e dice: «Cerchiamo un regalo per una donna anziana senza figli». Dice sempre così, giuro.
Ora, io non so quante donne anziane senza figli abitino a Siracusa, ma basandomi sulla mia personale statistica direi fin troppe. Stando a quello che sento in libreria, praticamente noi siracusani ci stiamo estinguendo.
Per fortuna io ormai ho pronta una serie di libri da consigliare in casi del genere. Senza muovermi, indico a destra e a manca come un agente di borsa e dico: «Questo lo ha scritto una donna anziana, quello ha per protagonista una simpatica vecchietta, ecco l’ultimo della Agnello Hornby, lì abbiamo l’opera omnia di Sveva Casati Modignani, mentre là sopra c’è tutto Nicholas Sparks».
Ovviamente i due guardano qualunque cosa gli propongo come se fosse un pezzo di carta igienica usata e, fregandosene del fatto che il mio turno di lavoro è finito ormai da dieci minuti abbondanti, dicono di volere continuare a dare un’occhiata. Cosa che secondo me è di un’ingiustizia rara: due persone che siccome non hanno un cazzo da fare obbligano una terza a lavorare più del necessario, voglio dire. In più non capisco perché al momento di aprire devo essere iper-puntuale, mentre la chiusura può essere posticipata a piacimento.
«Sentite», dico dopo un po’ in preda a una dozzina di tic nervosi, «la libreria chiude alle otto».
Questa me l’ha insegnata una mia amica, secondo cui usando come soggetto la libreria incuto più rispetto che se usassi me stesso (ed è vero – «dovrei chiudere» non funziona mai). E infatti i due improvvisamente si danno una mossa, scelgono un libro e vengono alla cassa. Dopo averli fatti pagare, io ci provo: confidando in un attimo di distrazione infilo il libro nel sacchetto senza incantarlo. Ma non c’è niente da fare. «Si può avere la confezione regalo?» dicono.
Nel frattempo si sono fatte le otto e un quarto, e io tanto per farli sentire in colpa spengo un altro paio di luci. Praticamente al buio, confeziono il libro e glielo do. Loro però non si muovono. Cosa, ancora?, penso.
«È possibile avere la fattura?»
Certo che è possibile, penso, ma ubriacandoli di parole mi invento un problema al software per compilare le fatture, e così me ne libero. Dopodiché, posso chiudere in pace.

Ripeto, quanto ho appena descritto capita in continuazione, ma non sono ancora riuscito a trovare una spiegazione plausibile del fenomeno.
All’inizio pensavo si trattasse di gente che finisce di lavorare tardi, e riesce a venire in libreria solo alle otto. Ma poi mi sono accorto che succedeva anche di domenica, e quindi come spiegazione non funzionava.
Con approccio più scientifico ho ipotizzato che alcuni sadici possano sentire, come i cani, l’odore delle emozioni umane. E siccome passando davanti a un negozio in orario di chiusura colgono quel sentore di soddisfazione emanato da tutti i lavoratori del globo alla fine di un turno di lavoro, magari provano l’istinto irrefrenabile di porgli fine.
O forse ha ragione un mio amico quando dice che è tutta colpa della legge dell’attrazione, secondo la quale le persone attraggono a sé ciò a cui pensano maggiormente, sia in positivo che in negativo. E dato che io verso le otto prego che non entri più nessuno, per la legge dell’attrazione è come se stessi desiderando il contrario, se ho capito bene.
Ammetto che come spiegazione mi lascia perplesso perché se la legge dell’attrazione funzionasse come si deve, allora ogni cinque minuti dovrebbe entrare in libreria una bionda disinibita che dietro lo scontrino si segna il mio numero di telefono e promette di richiamarmi al più presto, cosa che vi assicuro di norma non succede. E comunque questi sono i classici discorsi che di solito fanno quei clienti con i capelli spettinati, lo sguardo vitreo e le scarpe spaiate, che puzzano di incenso e comprano libri di self-help tipo Il segreto, o peggio ancora oscuri volumi in cui si sproloquia di angeli e stigmate. E non so voi, ma io di questa gente non sono mai riuscito a fidarmi.

© 2009 Stefano Amato