Stefano Amato, L'apprendista libraio (aprile 2009)


Nel libro di testo di fisica, alle medie, ricordo che per illustrare il concetto di entropia gli autori usavano come esempio la tipica stanza di un adolescente. Da una parte la mostravano ordinata, con tutti gli oggetti al loro posto, il letto fatto in maniera impeccabile. Accanto, la stessa stanza era invece nel caos più completo, l’armadio traboccava di vestiti sgualciti, e un calzino copriva parzialmente il monitor di un computer. In basso, una didascalia spiegava in modo conciso che il grado di disordine dell’universo può solo aumentare, mai diminuire. Come esempio era azzeccato, non lo nego, ma ultimamente sono sempre più convinto che una libreria renderebbe meglio l’idea.
Una libreria abbandonata a se stessa – senza un apprendista libraio che accorra al minimo allarme, rappresentato da un libro lasciato dove capita – in mezza giornata acquisterebbe le sembianze di una discarica. Basta un solo volume fuori posto, perché i clienti si sentano improvvisamente in dovere di non rimettere un libro sullo scaffale dopo averlo consultato. A pensarci bene, sarebbe anche un fenomeno affascinante, se non sei il tizio che poi deve rimediare a quell’aumento vertiginoso di entropia.

Chissà, forse gli scienziati dell’università di Groningen quando hanno avanzato la teoria della “finestra rotta” si riferivano anche a una libreria.
La teoria della “finestra rotta” dice che in un ambienta in cui anche un solo elemento è fuori posto o danneggiato, sarà molto più probabile che altri elementi vadano fuori posto o vengano danneggiati. Basta infatti una finestra rotta perché da lì a poco un teppistello rompa un’altra finestra. Oppure basta una sola cartaccia fuori da un cestino, o uno scarabocchio sul muro, perché altri si sentano autorizzati a gettare cartacce per terra o a disegnare scarabocchi sul muro.
La mia finestra rotta è un libro tirato fuori dallo scaffale, consultato per qualche minuto e poi poggiato dove capita. Basta così poco perché il cliente successivo – inconsciamente, secondo gli scienziati olandesi – si senta in diritto di fare la stessa cosa. Ecco perché io devo stare continuamente all’erta, pronto a rimettere a posto ogni libro abbandonato alla rinfusa. Ed ecco perché dopo una giornata affollata, in cui praticamente non mi muovo da dietro il bancone, gli scaffali e i tavoli sembrano teatro di una battaglia campale. Prima pensavo che la cosa fosse da imputare alla mancanza di controllo (più gente = passare inosservati agli occhi dell’apprendista libraio = fare il cazzo che ci pare), e invece no: è la “finestra rotta”, che diventano due, poi quattro, e così via con aumento esponenziale.

Quindi questo è più che altro un appello agli scienziati di tutto il mondo. Smettetela di perdere tempo. Smettetela di spendere valanghe di euro alla ricerca del Bosone di Higgs, o dell’ennesimo pianeta extrasolare. Distogliete la vostra attenzione dall’infinitamente piccolo e dall’infinitamente grande, e venite a fare le vostre ricerche in libreria.
Potrebbe sembrare la richiesta di una mente usurata da dialoghi del genere:

CLIENTE: «per caso avete l’ultimo giallo scritto dallo stesso autore di quel libro da cui hanno tratto un film che aveva per protagonista l’attore che ha vinto un oscar nel 2002? L’anno scorso è stato terzo nella classifica della New York Times Books Review, ha capito di che libro sto parlando, no?»
APPRENDISTA LIBRAIO: «No».
CLIENTE: «Mi sembra che lo pubblichi una casa editrice di Milano. Questo le dice niente?»
APPRENDISTA LIBRAIO: «Perché non l’ha detto subito? Venga, andiamo nel reparto "libri pubblicati a Milano", lì lo troveremo di sicuro».

Ma in realtà è un invito sincero a riempire una nicchia lasciata vergognosamente inesplorata dagli scienziati moderni. Perché, che ci crediate o meno, i misteri abbondano in una libreria.
Per esempio, perché se un libro non si vende basta piazzarlo vicino alla cassa per liberarsene il giorno stesso? È incredibile, ma è così. Ho visto con i miei occhi gente comprare libri che sugli scaffali erano ormai coperti di ragnatele, ma che una volta sistemati accanto alla cassa andavano a ruba. Gli scienziati ce l’hanno una spiegazione a un fenomeno del genere?
Io ho avanzato l’ipotesi che le fasi di acquisto che si svolgono vicino alla cassa somigliano all’atto sessuale. Questo è più evidente con i clienti in piena trance consumistica, riconoscibili perché entrano in libreria reggendo le buste di ogni singolo negozio del corso in cui si affaccia la libreria. Rossi in viso, sudati e col fiato corto, passano anche in libreria per pura coazione a comprare. Mentre batto lo scontrino di un libro (I love shopping?) che hanno preso solo per non uscire a mani vuote, li vedo guardarsi intorno nervosi nei pressi della cassa, e aggiungere in maniera compulsiva quanti più oggetti inutili possibili. Sembrano dire: “Aspetti, aggiunga al conto anche questo segnalibro che perderò dieci minuti dopo essere uscito da qui, questa lampadina per leggere di notte in campeggio anche se probabilmente in tutta la mia vita non dormirò mai in una tenda, e –aspetti! – questo libro invenduto privo di codice ISBN che tratta un argomento di cui non m’interessa nulla, con un’orrenda copertina disegnata in bitmap, ma che voglio assolutamente in quanto si trova a portata di mano ed è indispensabile affinché io raggiunga l’orgasmo”. Orgasmo che, inutile dire, coincide con l’eiaculazione di denaro dal portamonete, e dello scontrino dalla cassa.
A casa ho una stufa a gas rotta che vorrei buttare. Sto seriamente prendendo in considerazione l’eventualità di piazzarla accanto alla cassa; qualcuno la comprerebbe di sicuro. Ma vorrei sapere perché, scienziati di tutto il mondo.

Così come vorrei sapere perché la domenica mattina la stragrande maggioranza dei clienti paga con banconote da cinquanta euro. Nessuno che abbia soldi spicci. È un po’ di tempo che non esco il sabato sera; forse si è diffusa un’usanza di cui non sono al corrente? Porta male tornare a casa con banconote di piccolo taglio nel portafogli, e quindi bisogna liberarsene prima dell’alba? Se è così ditelo, che mi offro volontario per fare piazza pulita. Non sono un tipo superstizioso.

Ma a conti fatti, forse il mistero più grande di tutti è perché mi piaccia ancora lavorare in una libreria. Nonostante tutti i clienti che sembrano usciti da un film grottesco; nonostante le ore interminabili passate a vendere libri oggettivamente brutti; nonostante le situazioni imbarazzanti e/o umilianti, a me questo lavoro piace. Anzi, ogni tanto arrivo perfino ad amarlo.
Quando da piccolo leggevo Topolino, ricordo che c’era sempre una storia in cui Paperino veniva assunto da una fabbrica di materassi come collaudatore, oppure come assaggiatore in una pasticceria. Bene, certe volte la titolare mi porge un libro ancora imballato nel cellophane e mi dice di leggerlo, così da sapere di cosa tratta. Io lo guardo, e scopro che magari è l’ultimo romanzo di uno dei miei scrittori preferiti. Ed è strano essere retribuiti per fare qualcosa che, fino a poco tempo fa, pagavo per fare. Certo, ogni tanto capita di dover leggere libri che non mi piacciono. Ma quando il libro è quello giusto, allora si prova una sensazione speciale. Probabilmente la stessa che provava Paperino nel testare un materasso con un pisolino di dodici ore.

© 2009 Stefano Amato