Stefano Amato, L'apprendista libraio (dicembre 2009)


A parte «uh, non sai quanto t’invidio!», la cosa che mi sento dire più spesso quando spunta fuori che lavoro in una libreria è: «sentiamo, hai un buon libro da consigliare?»
Devo ammettere che quello dei consigli è un aspetto del lavoro che non mi piace. Soprattutto se, come nel caso del temibilissimo “consiglio per un regalo”, si tratta di scegliere un libro per un perfetto sconosciuto di cui non si conoscono i gusti.
CLIENTE: «Mi consigli un libro da regalare a una signora che compie quarant’anni?»
APPRENDISTA: «Certo, sa più o meno che genere le piace?»
CLIENTE: «No, mi dispiace».
APPRENDISTA: «Ok, allora ultimamente ha letto un libro che le è piaciuto?»
CLIENTE: (ridacchia) «Mi chiedi troppo».
APPRENDISTA: «Ha interessi particolari? Un hobby, forse?»
CLIENTE: «Boh... So solo che odia leggere».
APPRENDISTA: «...»

In realtà il discorso vale anche per chi in fatto di libri ha dei gusti diversi dai miei. Per esempio, non avrei la minima idea di che cosa consigliare a un fan di Coelho, se non un altro romanzo di Coelho (che grazie al cielo è uno scrittore prolifico.) E lo so che cosa state pensando. Andiamo, sei tu il libraio. È il tuo lavoro conoscere i gusti della gente, tenersi aggiornato sulle nuove tendenze. Non è forse da questo che si distingue un libraio professionista da uno dilettante?
Bene, a parte il fatto che non ho mai detto di essere un professionista (vedi quell’“apprendista” nel titolo della rubrica), credetemi, a volte è davvero impossibile indovinare che cosa possa piacere a una determinata persona. Prendete mia madre. Giuro che non saprei cosa consigliarle neanche sotto tortura, anche perché i libri che le vedo leggere hanno tutta l’aria di quei samizdat che la gente si passava di nascosto sotto Stalin. Romanzi aventi per protagonisti poveretti a cui ne capitano di tutti i colori e che alla fine ringraziano Dio per averli messi alla prova.
Quindi il punto secondo me è questo: consigliare un libro può essere un gioco da ragazzi – di più: può essere un piacere – se chi riceve il consiglio ha gli stessi tuoi gusti. Altrimenti sei nei guai.
La pensavo più o meno così fino al giorno in cui ho incontrato quello che per me è diventato un vero e proprio guru: il commesso di una libreria Feltrinelli in vacanza in Sicilia. I commessi di librerie indipendenti come me credo provino qualcosa di molto simile al timore reverenziale, nei confronti dei commessi delle grandi catene, un po’ come quello che deve provare un calciatore di serie D in presenza di uno della Nazionale. Ma anche quello che probabilmente si prova nei confronti di un disinnescatore di mine antiuomo: lo ammiri, ma non vorresti mai trovarti al suo posto. Voglio dire, a noi male che va arrivano trenta copie dell’ultimo romanzo di Dan Brown, e non è detto che le vendiamo tutte. A sentire il guru, alla Feltrinelli ne arrivano trecento. Per volta.
«Il nostro lavoro è più pesante anche dal punto di vista fisico. Caricale tu, trecento copie del Simbolo perduto», mi ha detto il guru.
Con lui ho parlato anche di consigli librari. Gli ho chiesto come si comportino loro in proposito, dato che sono sempre pieni di clienti e un consiglio ruba un sacco di tempo.
Il guru non poteva essere più chiaro.
«Vedi», mi ha detto. «È semplice. Se una persona mi chiede un consiglio per un libro da regalare, allora do per scontato che non capisce un cazzo [sic]. Quindi gli do il libro che vende di più in quel momento, e morta lì».
Io ho provato a spiegargli che forse è un po’ più complicato di così. Magari chi deve ricevere il regalo ha dei gusti particolari, e non tutti sanno bene come...
«Non capiscono un cazzo», ha ribadito lui con un gesto della mano, e con questo ha chiuso la questione.
Quel giorno comunque mi si è aperto un mondo. Ho trovato l’uovo di Colombo: il guru, ho pensato, aveva ragione per metà. Chi chiede un consiglio per un libro da regalare si berrà pure qualsiasi cosa gli proponi, ma a patto che tu sia credibile.
Prima consigliare un libro era un’agonia perché mi limitavo a pescarne uno e dire: «forse questo potrebbe andare?» o «mah, magari quest’altro potrebbe piacere a sua moglie?», senza crederci io per primo.
Adesso è tutta un’altra storia. Pancia in dentro, petto in fuori, prendo un libro invenduto da troppo tempo e lo porto direttamente alla cassa. «Con questo va sul sicuro», dico senza nessuna traccia di dubbio nella voce. «Sua moglie la ringrazierà».
Be’, liberi di non crederci, ma funziona sempre.  

© 2009 Stefano Amato