Stefano Amato, L'apprendista libraio (gennaio 2010)


COSE DI CUI AVREI VOLUTO SCRIVERE

Di quante cose avrei voluto parlare in questa puntata. Per esempio del fatto che sotto Natale di dieci persone che compravano il libro di Vespa, nove se ne vergognavano. Lo portavano alla cassa e subito, ridacchiando nervosi, ci tenevano a dire che era un regalo; che roba del genere loro non la leggono mica.
Poi, chissà, avrei potuto riportare quella cosa che ho pensato intorno al ventitré, mentre a testa bassa impacchettavo l’ennesima copia del romanzo di Dan Brown. E cioè che forse tutta quella storia dell’essere entrati nell’era dell’Acquario, che sento ripetere fino alla nausea da quando sono nato, significava solo che nei Natali degli anni duemila si sarebbero venduti milioni di copie di libri come Il segreto e via discorrendo. Per poi aggiungere, en passant, un’acuta analisi di come a mio avviso stiamo lentamente tornando agli anni ottanta. Tutti vogliono essere felici, raggiungere il successo, diventare ricchi, trovare la persona della propria vita, essere sani e belli in quattro e quattr’otto. Dopo aver letto un libro. Mi sarebbe anche piaciuto descrivere la sensazione provata nel vendere e impacchettare il mio romanzo a gente che non sapeva che l’avevo scritto io. Raccontare di come aprivano l’aletta posteriore, osservavano la foto dell’autore e poi, con una piega comica delle sopracciglia, realizzavano che la versione tridimensionale di quella stessa fotografia era lì davanti a loro a battere lo scontrino. Sarebbe stato un buon sistema per spezzare il tono prevedibilmente pesante della puntata post natalizia, no? E se ciò non fosse bastato, allora avrei potuto aggiungere la battuta che mi ha estorto il classico cliente da libro da salotto. «Dovrei fare un regalo sui centocinquanta euro», mi ha detto, e io non sono riuscito a trattenermi: «Perché non compra dieci romanzi da quindici euro?» gli ho risposto prima ancora di rendermene conto. Ah ah. In questo modo nessuno mi avrebbe potuto incolpare di lamentarmi tutto il tempo.
A questo punto avrei tirato fuori quella cosa a cui ho dato il nome di «Coppia editorialmente incompatibile», e che si riferisce a una particolare domanda che certe volte questo Natale mi sono sentito rivolgere. La domanda ha quasi sempre questa forma: «Dovrei fare un regalo, avreste un libro che parla di X e Y?» Dove «X e Y» – la coppia di cui sopra – sono due entità le cui probabilità di trovarsi nello stesso romanzo o saggio sono le stesse che ha chiunque di diventare ricco dopo aver letto un libro. Ecco alcuni esempi:
«Camorra e Beethoven».
«Massoneria e pesci d’acquario (ma solo tropicali)».
«Biancaneve e i Gormiti».
«Michael Jackson e il muro di Berlino».
«Raffaele Morelli e la psicologia».
Non sarebbe stato uno spasso?
Per concludere sarei tornato al lato oscuro di tutta la faccenda. Magari raccontando il ragionamento, per la verità abbastanza infantile, che mi ha portato a due conclusioni.
La prima è che il Natale visto da dietro la cassa di un negozio non ha il minimo senso. Non si capisce perché in alcuni giorni particolari del calendario si debbano vendere più libri. «Cos’è il Natale?», arrivi a chiederti nei momenti clou (un po’ come quando osservi troppo a lungo i tuoi familiari e finisci col domandarti chi siano quelle persone). Dice: «È il compleanno di Gesù». Ok, ma perché Gesù dovrebbe essere felice di sapere che nel giorno del suo compleanno un fighetto che in vita sua ha letto solo l’elenco telefonico riceve in regalo l’ultimo libro di Fabio Volo? Da qualche parte il Vangelo prescrive una cosa del genere? E ammesso che lo faccia, siamo sicuri che intendeva proprio correre in un negozio, magari il giorno della vigilia, e comprare la prima cosa che gli capita a tiro solo perché sa che l’altra persona farà lo stesso – nessuno dei due in fondo sa perché; sanno solo che devono farlo – e chiedere al commesso di impacchettare quegli oggetti senza la minima gioia, anzi con una voce che se non è quella della morte poco ci manca?
«Va bene, lascia perdere Gesù. Diciamo allora che è un rito accettato dalla tribù. È tradizione».
Ed ecco la seconda conclusione che ho tratto sotto Natale. E cioè che d’ora in poi la parola che più odio al mondo sarà proprio questa. Tradizione. Seguite il mio consiglio: non fate mai niente che abbia come motivazione un qualche tipo di tradizione. Ma proprio niente. Dal battezzare i vostri figli fino a dire “piacere” quando vi presentano qualcuno. Dallo sposarvi fino a, ovviamente, regalare un libro a qualcuno solo perché è la seconda metà di dicembre.
Ecco, la puntata sarebbe finita con questa perla di saggezza. Secondo me non sarebbe stata male, come puntata. Avrebbe contenuto parti comiche e serie. Avrebbe anche fatto riflettere qualcuno, forse. Peccato però che quest’anno io sia troppo stanco per scriverla, e quindi mi sa che dovrete accontentarvi di questi appunti al condizionale.

© 2010 Stefano Amato