Stefano Amato, L'apprendista libraio (gennaio 2009)


Follia pura. Non credo esistano parole più adatte per descrivere quello che succede in una libreria a Natale. È uno spettacolo comico e agghiacciante allo stesso tempo. Come se ogni anno a metà dicembre la gente andasse da un neurochirurgo a farsi asportare la porzione di cervello sede della razionalità, e se la facesse ricucire solo a Santo Stefano. È quello che diceva, gira e rigira, anche una vignetta del New Yorker che ho visto su Internazionale qualche giorno fa, in cui si vede Babbo Natale di spalle su un palco con le braccia alzate. Alla sua sinistra c'è un pupazzo di neve, a destra un grosso pacco regalo. Davanti a lui migliaia di persone si stringono intorno a un immenso albero di Natale con tanto di stella cometa a cinque punte sulla cima. Dietro, due elfi stanno assistendo alla scena, e uno dice all'altro: «non ti ricorda un po' troppo una setta?»
Ecco, quanto segue è un diario della settimana in cui ho avuto a che fare con gli adepti di quella setta.

Giovedì 18 dicembre
La settimana comincia male. All'apertura trovo ad aspettarmi un tizio incazzatissimo. Indicando il furgone parcheggiato dall'altra parte della strada, dice che è un'ora che mi aspetta, che si è svegliato alle 4 del mattino, e che è meglio se gli do il suo assegno, altrimenti spacca tutto. Gli do l'assegno; lui scarica tre scatoloni grandi come armadi a due ante e pieni di mappamondi. Mai visti tanti mappamondi in vita mia. Mi accorgo che non sono aggiornati. Manca il Kosovo, per esempio. Ma tanto, penso, è impossibile che il siracusano medio se ne accorga. Dopo cinque minuti entra un tizio. Mi chiede quanto costa un mappamondo. Sto per dirglielo, ma lui mi blocca. «Lasci perdere» dice, «non mi interessa più. Mi sono accorto che manca il Kosovo».
Pochissimi pacchetti regali, finora. Che sia colpa della crisi?

Venerdì 19 dicembre
La gente mostra i primi sintomi di irrazionalità. Una signora che non ricorda il titolo di un libro dice «Scusi un attimo», e digita un numero sul suo telefonino. La sento dire: «Qual è il titolo del libro che devo regalarti?» Resto senza parole. Davvero funziona così, ormai? Le do il libro, ma lei vuole che glielo incarti. Sto per dirle che la carta regalo serve a creare suspense, e quindi nel suo caso non ha il minimo senso, ma non lo faccio. Probabilmente il livello di psicosi è tale che il ricevente scarterà il regalo fingendo di sorprendersi, e lei oserà dire: «Sapevo che ti sarebbe piaciuto!»
Molti continuano a chiedere se sono arrivati i loro ordini. No, non sono arrivati. Minacciano: «Se non mi procurate quel libro entro il ventiquattro me lo compro da un'altra parte». Brrr, che paura.

Sabato 20 dicembre
Scopro che se spengo il cervello e impacchetto qualsiasi cosa mi passano, riesco a tirare avanti fino a sera senza traumi di sorta. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Tanto per cominciare, la maggior parte dei clienti è formata da maleducati. Si capisce dal modo in cui ti chiedono (se lo chiedono) di incartargli un libro. Ecco, dal più educato al più insopportabile, i vari esempi:
1) «Mi fa una confezione regalo, per favore?»
2) «Si può avere una confezione regalo?»
3) «Copri il prezzo e tutto quanto?»
4) «Una confezione regalo...?»
5) «Me lo incarti?»
6) «È un regalo».
7) «Confezione».
(È lecito, dopo un primo sguardo alla forma della classifica, dedurre che l'educazione di una persona sia direttamente proporzionale alla lunghezza della frase? Forse sì.)
E comunque è impossibile non sentire la gente che dice, mentre paga: «Meno male, mi sono tolto questo pensiero», o «che stress, i regali» o altre baggianate del genere. Se non li disprezzassi, mi farebbero quasi pena.
Continua la processione di quelli che hanno ordinato i libri da regalare. Ma del corriere non c'è traccia. Diciamo a tutti di stare tranquilli: lunedì, arrivano di sicuro.

Domenica 21 dicembre
Finora il giorno peggiore. Ho provato a seguire il mio stesso consiglio, spegnere il cervello e fare qualsiasi cosa mi dica la gente. Ma in questo modo i pensieri sono tutti rivolti verso me stesso. Mi sorprendo a chiedermi: "Dove ho sbagliato? Che ci faccio, di domenica, con un nastro argentato in mano? Dev'essere successo qualcosa, a un certo punto della mia vita, che mi ha portato fin qui. A quale bivio ho fatto una cazzata? Forse ho letto troppi libri?"
Mi impongo di smetterla. Mi concentro sulla piega della carta. Arriccio il nastro, uso l'adesivo. Ricordo di alternare il nastro dorato a quello argentato. Dico grazie e buonasera. Sorrido, finanche.

Lunedì 22 dicembre
La giornata comincia con la scena più triste a cui abbia assistito negli ultimi anni. Un signore dall'aria tutt'altro che felice ci mette una vita a scegliere un libro, poi se lo fa incartare. Quando gli chiedo se vuole scrivere sull'adesivo il nome di chi riceverà il regalo, lui dice: «No, tanto è per me».
Il corriere non si vede neanche oggi. Telefoniamo al fornitore, il quale ci informa che c'è stato un problema: spediranno i colli solo stasera. Questo vuol dire che non arriveranno entro il 24. Andiamo nel panico. Decine di persone dipendevano da noi, per i loro regali.

Martedì 23 dicembre
Per non perdere i clienti, decidiamo di risolvere il problema della spedizione tardiva comprando gli stessi libri nella libreria più fornita della città, e spacciandoli per nostri. Per non destare sospetti, la persona che incarichiamo se li fa impacchettare. Io poi sul retro li scarto, copro con il nostro adesivo quello della concorrenza, e li incarto di nuovo. Esatto, delirio bello e buono. Ed è tutta fatica sprecata. Quando li chiamiamo, i clienti ci dicono che hanno già comprato i libri nell'altra libreria. Io mi sento compresso in una strana dimensione priva di senso.

Mercoledì 24 dicembre
È il caos. Così come la maggior parte della gente si riduce a pagare le bollette o le tasse l'ultimo giorno utile, così quasi tutti comprano i regali di natale il 24 dicembre. Perché è questo che sono diventati: una tassa. Il giorno della vigilia la gente compra di tutto. Quasi se ne frega dei titoli. Si basa sul prezzo, o al limite dice idiozie quali: «Questo andrà bene per un ragazzo di ventisei anni?», come se l'età di una persona determinasse anche i suoi gusti. Il fondo si tocca quando mi chiedono un libro «Con un titolo spiritoso. Non ha importanza il contenuto, basta che il titolo faccia ridere». Mi si attorciglia lo stomaco.
Se possibile, oggi i clienti mancano di individualità ancora più degli altri giorni, comprano tutti gli stessi libri: Vespa, Giordano, Kinsella, Travaglio, Littizzetto, Smith, Manfredi, Mazzantini. Mi sento male per loro, e intanto osservo a malincuore la pila dell'ultimo romanzo di Roth restare intatta.
Anche se non ho quasi tempo per respirare, provo lo stesso a mantenere una certa coerenza. Per esempio, una signora mi chiede di aiutarla a scegliere un libro pop-up per un bambino, e io gliene mostro qualcuno, evitando accuratamente quelli di argomento religioso. Ma è inutile. Mentre tesso le lodi di un libro pop-up sui trattori, la sento esclamare: «Guardi, c'è anche quello sull'arca di Noè! Prendo questo». Sono tentato di spiegarle che la storia di come un Dio dispettoso e vendicativo affoghi la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta compresi gli animali (innocenti), non mi sembra adatta a un bambino. Ma lascio perdere. Non ho energie a sufficienza.
Una signora dice che al figlio è piaciuto il diario di Anna Frank, e se per favore le posso consigliare qualcosa sullo stesso tema. Le mostro Se questo è un uomo. Lei lo guarda, poi telefona al figlio. Gli dice: «Ti sto comprando il regalo. Per caso conosci uno scrittore chiamato Primo Levi? No, vero? Infatti». Chiude, e mi fissa come se avessi provato a fregarla. Mi viene da piangere. Ma ormai sono le sette, e la libreria si svuota rapidamente. Da bravi adepti, vanno tutti a casa a farsi belli per il rito finale. È fatta. Sono stanco morto. Riesco solo a pensare che mai come adesso mi è chiaro che amare i libri non vuol dire necessariamente amare venderli.

© 2009 Stefano Amato